Per chi corre può risultare difficile riconoscere un disturbo alimentare. È comune, ad esempio, seguire diete rigide e percorrere lunghe distanze durante la preparazione per una maratona o una mezza maratona.
Esiste però una sottile linea tra ciò che è considerato sano e ciò che potrebbe invece segnalare un problema: per saperne di più abbiamo parlato con Marga Brancart, terapista specializzata in disturbi alimentari e professionista di Human Concern.
La sfida di riconoscere un disturbo alimentare
Brancart spiega: "Si può parlare di disturbo alimentare quando questo influisce negativamente sulla qualità della vita, rendendo l’allenamento ossessivo e compulsivo. In molti casi, il piacere di correre svanisce e subentra un comportamento che diventa sempre più una costrizione".
In sostanza, se l’attività fisica si trasforma da scelta volontaria a necessità impellente, è probabile che ci si stia avvicinando a un comportamento problematico.
Correre per dovere o per piacere?
Uno degli aspetti più difficili da riconoscere in un runner con un disturbo alimentare è proprio questa differenza tra il “voler correre” e il “dover correre”. La maggior parte delle persone che pratica running conosce bene la sensazione di dover uscire per allenarsi anche quando non si ha molta voglia. Quando il correre diventa un'ossessione, la linea di confine con un disturbo alimentare si fa sottile.
“È importante riuscire a guardarsi dentro con onestà - suggerisce Brancart -. Correte perché vi piace o perché sentite di doverlo fare a tutti i costi?". Questo è uno dei segnali da tenere in considerazione per capire se l'attività fisica è ancora un'espressione di benessere o se ha iniziato a prendere una piega malsana. A volte, l’inganno più grande è quello verso sé stessi: si può continuare a credere che si stia correndo per il proprio piacere, quando in realtà dietro c'è un bisogno compulsivo legato a un disturbo alimentare.
I segnali d’allarme
Oltre alla corsa ossessiva, ci sono altri segnali che possono indicare la presenza di un disturbo alimentare. Ad esempio, una persona potrebbe continuare a correre anche in condizioni di salute precarie, ignorando sintomi di malattia o infortuni pur di non interrompere l'allenamento. Spesso, chi soffre di disturbi alimentari annulla appuntamenti o impegni sociali per dare la priorità alla corsa e mostra comportamenti ossessivi riguardo il cibo, come il conteggio maniacale delle calorie o il consumo eccessivo di proteine.
Brancart sottolinea che i disturbi alimentari non sono sempre legati esclusivamente all’alimentazione o all’attività fisica. Esistono molte altre manifestazioni di questi disturbi che non coinvolgono lo sport ma che possono comunque impattare profondamente la vita quotidiana. In questi casi, è importante rivolgersi a professionisti per avere un quadro più chiaro della situazione e, se necessario, iniziare un percorso di cura.
Corsa e disturbi alimentari: il rischio di ricadute
Per coloro che hanno superato un disturbo alimentare, la corsa può essere un'attività salutare e piacevole, ma è necessario mantenere alta l’attenzione, poiché eventi stressanti o problemi personali possono far riemergere vecchie abitudini. “Anche dopo un trattamento di successo, possono rimanere dei residui del disturbo alimentare - spiega Brancart -. In momenti di difficoltà, c’è il rischio di tornare a comportamenti restrittivi o ossessivi, e questo può essere un segnale di allarme”. Mantenere un controllo regolare sul proprio stato di salute mentale e fisica è quindi fondamentale per prevenire eventuali ricadute.
Preoccuparsi per gli altri: come intervenire
Se ci si preoccupa per un amico o un familiare che sembra manifestare comportamenti legati a un disturbo alimentare, è importante affrontare la questione con sensibilità. "Dare un nome concreto a ciò che si vede può sembrare un attacco, quindi è meglio procedere con cautela", suggerisce Brancart. È consigliabile chiedere alla persona cosa ne pensa del suo comportamento e se riconosce di avere un problema. Tuttavia, se la persona non è pronta ad affrontare la questione, è fondamentale rispettare i suoi tempi, ma allo stesso tempo farle sapere che si è disponibili a parlarne quando vorrà.
Cercare aiuto: non si è soli
Per chi si riconosce in alcuni di questi comportamenti, il primo passo è parlare con qualcuno di fiducia. “Anche se ci si trova nelle prime fasi di un disturbo alimentare, parlarne può fare la differenza”, dice Brancart.
Se il confronto con amici o familiari sembra troppo difficile, è sempre possibile rivolgersi al proprio medico di famiglia o a uno specialista. Riconoscere di avere un problema e chiedere aiuto è il primo passo verso la guarigione. Si può davvero uscire dal tunnel di un disturbo alimentare, ma è fondamentale non affrontare questa battaglia da soli.
Articolo tradotto da collaboratori esterni, per info e collaborazioni rivolgersi alla redazione