La carenza di ferro è una condizione sorprendentemente diffusa tra i runner, soprattutto tra le donne. Non si tratta semplicemente di un problema nutrizionale, ma di un fattore che può compromettere la performance, il recupero e la salute generale.

Gli atleti di endurance, infatti, presentano un fabbisogno di ferro aumentato, stimato fino a 1,3–1,7 volte superiore rispetto alla popolazione generale. In questo articolo esploriamo come riconoscere, prevenire e trattare la carenza di ferro, con strategie pratiche per chi pratica sport di resistenza.

Cos'è la carenza di ferro e l'anemia sideropenica?

La carenza di ferro si verifica quando i depositi dell’organismo si riducono a livelli non più sufficienti a garantire il corretto funzionamento dei processi fisiologici. Quando la carenza è tale da compromettere la produzione di emoglobina, insorge l'anemia sideropenica, caratterizzata da una ridotta capacità del sangue di trasportare ossigeno ai tessuti.

I sintomi più comuni includono affaticamento persistente, irritabilità, difficoltà di concentrazione, respiro corto, vertigini e pallore. Tuttavia, in alcuni casi, la carenza può rimanere asintomatica anche per lungo tempo, rendendo il monitoraggio ancora più importante.

Perché i runner sono più esposti alla carenza di ferro?

I runner sono particolarmente vulnerabili alla carenza di ferro per diversi motivi fisiologici. L’impatto ripetuto del piede sul terreno durante la corsa può causare emolisi, cioè la rottura dei globuli rossi. Inoltre, l'attività intensa provoca ischemia-riperfusione intestinale, riducendo temporaneamente il flusso sanguigno all’intestino e causando microlesioni con possibili perdite ematiche.

Le perdite di ferro con il sudore, unite all'espansione del volume plasmatico che diluisce la ferritina circolante, completano il quadro. Anche un'alimentazione non bilanciata o povera di ferro biodisponibile può peggiorare il rischio di carenza. Questi microtraumi e microperdite, se sommati nel tempo, determinano un effetto cumulativo che può sfociare in anemia anche in assenza di episodi acuti.

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alvarez//Getty Images

Diagnosi: come e quando controllare i valori del ferro

Diagnosticare la carenza di ferro richiede un’attenta interpretazione dei dati ematochimici. I parametri più importanti sono la ferritina sierica e la saturazione della transferrina (TSAT). Si considera carenza di ferro una ferritina <35 µg/L associata a TSAT >16% e livelli di emoglobina >115 g/L, mentre una ferritina <20 µg/L con TSAT sempre > 16% indica carenza senza anemia manifesta.

Se la ferritina scende al di sotto dei 12 µg/L, i valori di TSAT riportati sono inferiori al 16%, e i valori dell’emoglobina scendono sotto i 115 g/L si configura un'anemia sideropenica conclamata. Poiché la ferritina è anche un marker infiammatorio, nei casi dubbi è utile affiancare alla valutazione anche la proteina C reattiva (CRP) per distinguere una vera carenza da una ferritina falsamente elevata per infiammazione. Il monitoraggio regolare è particolarmente consigliato per runner d'élite, donne con cicli mestruali abbondanti e atleti che competono su lunghe distanze.

Alimentazione e assorbimento del ferro

Dal punto di vista nutrizionale, è fondamentale distinguere il ferro eme, presente in carne, pesce e frattaglie, dal ferro non-eme di origine vegetale (legumi, spinaci, cereali integrali, frutta secca). Il ferro eme ha una biodisponibilità che varia dal 15 al 35%, mentre il ferro non-eme solo dal 2 al 20%, ed è più sensibile a fattori inibitori. Per migliorare l'assorbimento del ferro non-eme è utile consumarlo insieme a vitamina C (agrumi, kiwi, peperoni), ed evitare tè, caffè e latticini nello stesso pasto.

Quando assumere integratori di ferro?

Se necessario integrare, il momento dell'assunzione può fare la differenza. I livelli di epcidina, l'ormone che riduce l'assorbimento del ferro, sono più bassi al mattino: per questo è ideale assumere il ferro a stomaco vuoto appena svegli. È invece da evitare l'assunzione immediatamente dopo l'allenamento, quando l'epcidina è elevata per 3-6 ore.

Studi recenti mostrano inoltre che dosi di ferro superiori a 60 mg/die possono elevare l'epcidina per circa 24 ore, riducendo l'assorbimento. Pertanto, la somministrazione a giorni alterni sembra favorire un assorbimento maggiore, con un aumento del 34% rispetto all’assunzione quotidiana.

Terapia orale e terapia endovenosa

In caso di carenza semplice senza anemia, si può iniziare monitorando e correggendo l'apporto alimentare di ferro, eventualmente integrandolo con supplementi orali sotto controllo medico o di un professionista della nutrizione. Nel caso di anemia sideropenica, la terapia orale richiede dosi più elevate e diventa a tutti gli effetti una terapia farmacologica che deve essere prescritta e monitorata da un medico. La terapia orale è generalmente efficace nei casi di anemia lieve (emoglobina 8-11 g/dL), ma richiede almeno tre mesi per aumentare di 2 g/dL l’emoglobina e ripristinare i depositi di ferro. Solo il 10-20% della dose orale viene assorbita, mentre il resto può causare effetti gastrointestinali in 30-70% dei pazienti, alterare il microbiota intestinale ed interferire con farmaci come antiacidi e IPP.

Se la terapia orale è inefficace, mal tollerata o se sono presenti condizioni come infiammazione cronica, può rendersi necessaria la terapia marziale endovenosa. Le infusioni permettono un rapido ripristino dei livelli di ferritina ed emoglobina, ma devono essere prescritte da personale medico esperto e valutate anche alla luce delle normative antidoping.

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Dietoterapia e strategie nutrizionali personalizzate

La gestione dietetica dipende dalla causa sottostante. Nell'anemia sideropenica è prioritario aumentare l'introito di ferro tramite carne rossa magra, legumi, spinaci e cereali fortificati. Nell'anemia megaloblastica, dovuta a carenza di vitamina B12 o folati, la dieta deve essere arricchita con uova, carne, latticini e verdure a foglia verde. Quando l'anemia è secondaria a infiammazione cronica, si raccomanda un’alimentazione ricca di antiossidanti, tramite pesce azzurro, verdure colorate, olio EVO e semi oleosi. Va infine ricordato che esiste anche una forma di anemia legata a malattie croniche, come infezioni persistenti, patologie infiammatorie o neoplastiche. In questi casi, l'anemia deriva da una ridotta disponibilità di ferro per il midollo osseo e una ridotta eritropoiesi mediata da infiammazione, e richiede un approccio terapeutico medico specifico e personalizzato.

La carenza di ferro è una minaccia silenziosa ma potente per i runner. Riconoscere i segnali precoci, monitorare regolarmente i parametri ematochimici e adottare strategie nutrizionali e terapeutiche appropriate permette non solo di preservare la salute, ma anche di ottimizzare la performance atletica. Il ferro, tuttavia, non deve essere integrato indiscriminatamente: a dosi elevate può favorire stress ossidativo, infiammazione e danni ai tessuti. Ogni integrazione deve essere sempre personalizzata, basata su evidenze scientifiche e supervisionata da professionisti esperti.