Nell’ultimo periodo uno dei temi più dibattuti riguardanti le metodologie di allenamento moderne è l’allenamento al caldo, chiamato universalmente heat training. Lo svolgono sempre più spesso ciclisti e triatleti di altissimo livello, ma anche nel trail running questo metodo si sta pian piano diffondendo.
Delle volte però si confonde il concetto di heat training con quello di heat adaptation. Sono quasi la stessa cosa, ma vengono usati in modo e con obiettivi leggermente diversi... scopriamolo!
Heat training, a cosa serve e come si fa
L’heat training può aiutare a migliorare certi parametri fisiologici, come l'aumento del volume plasmatico, della massa emoglobinica, della capillarizzazione, migliorando anche la termoregolazione del corpo durante lo sforzo. Per farlo bene e per raggiungere certi risultati servono però settimane di allenamento costanti, svolte soprattutto attraverso sedute di rulli indoor ben coperti, monitorando la temperatura corporea esterna e interna, per controllare che lo stimolo sia sufficiente, ma nemmeno eccessivo, per non portare a peggioramenti dovuti a un'eccessiva disidratazione o per allenamenti svolti troppo lentamente a causa di una temperatura corporea oltre una certa soglia.
Ciclisti e triatleti lo possono utilizzare in diversi periodi dell’anno, ma può essere soprattutto utile prima di un training camp in altura (in modo da avere un più rapido acclimatamento e senza perdere giorni di adattamento) oppure immediatamente dopo un camp in altura, per prolungarne gli effetti benefici, senza il rischio di vederli svanire dopo poche settimane. L’effetto benefico dell’heat training è sulla forma fisica in generale, può essere utile anche per preparare competizioni con temperature fredde, ma appare intuibile come sia una cosa non semplicissima da eseguire e che è meglio lasciarla fare a chi ha tempo, risorse e personale al seguito.
Heat adaptation, a cosa serve e come si fa
L’heat adaptation invece ha come obiettivo appunto quello di adattarsi prima di una competizione con un clima caldo, ed è una cosa che praticamente chiunque abbia preparato una gara in certe condizioni ha probabilmente sperimentato e che chiunque può fare, visto che in estate è facile trovare alte temperature anche in montagna (30° a 1000 metri di altitudine o 20° a 2000 metri sono ormai purtroppo cosa comune).
Come fare heat adaptation? Il primo metodo è ovviamente correre al caldo, con le dovute precauzioni. È sempre questione di progressione, quindi non bisogna mettersi subito a correre a mezzogiorno con 30° C, ma partire da temperature più agevoli, e gradualmente aumentare l’esposizione, sempre con allenamenti blandi. Più è lunga la seduta, più sarà fondamentale idratarsi per non incorrere in rischi per la salute e per permettere al corpo di svolgere la sua attività di termoregolazione sudando a sufficienza.
Per chi ha la possibilità di correre indoor (o fare i rulli, per chi ama il cross training), può essere sufficiente coprirsi un po’ di più ed evitare ventilatori per far raggiungere al corpo una certa temperatura e iniziare a sudare abbondantemente. Una buona alternativa sono sedute di caldo passivo, sotto diverse forme. La più semplice è un bagno caldo al termine degli allenamenti (meglio dopo quelli più lenti), rimanendo immersi in acqua per 15’-20’. Per chi può, la sauna è forse il metodo migliore, con sedute a partire da 10’, fino ad arrivare a 30’, magari con leggere pause, sempre per non rischiare di stare male. Discorso simile per il bagno turco.
Tutto questo dev’essere fatto con una certa costanza, in quanto bastano pochi giorni per perdere gli adattamenti. Non bisogna però esagerare, perché alzare la temperatura del proprio corpo è uno stress non da poco, bisogna quindi considerare questi stratagemmi all’interno di tutto il proprio allenamento, senza rischiare di peggiorare il recupero e rendere inutili o deleteri tali sforzi.