Olympic moment: emil zatopek, helsinki 1952
Quando parte per la sua prima maratona, alle 15 di domenica 27 agosto 1952, Emil Zatopek è già l’atleta più famoso del mondo. Ha quasi 30 anni e con il suo incedere ciondolante, testa inclinata sulla sinistra, la smorfia perenne disegnata sul volto, ha infilato vittorie e primati uno dietro l’altro, con una frequenza impressionante. Per tutti l’omino di Koprivnice, Repubblica Socialista Cecoslovacca (oggi Repubblica Ceca), è già la Locomotiva Umana, l’ uomo capace di annichilire avversari e appassionati con la sua corsa implacabile, figlia di allenamenti massacranti e di una dedizione totale, quasi maniacale. Ai Giochi di Londra ’48 ha vinto l’oro sui 10.000, rifilando un giro al francese Alain Mimoun, e ha mancato di un nulla il bis sui 5.000, battuto dal belga Gaston Reiff, ultima sconfitta prima di un filotto pazzesco, ininterrotto per quasi 4 anni: 49 vittorie consecutive e 8 primati del mondo (ne siglerà altri 10) che hanno lanciato la corsa di fondo in una dimensione inimmaginabile, una superiorità mai vista prima sulla scena, nemmeno negli anni di sua maestà Paavo Nurmi. Trilogia Nurmi è il suo idolo e si appresta ad ammirarlo dagli spalti di casa in quella che diventerà la trilogia della leggenda, l’impresa più titanica mai realizzata nella storia dell’atletica. E pensare che, proprio a poche settimane dall’Olimpiade di Helsinki, Zatopek ha conosciuto - incredibile, ma vero - la parola sconfitta, battuto sui 5.000 dalla coppia russa Kasantsev- Popov. Ma se il kappaò incoraggia gli avversari in vista dei Giochi, non incrina invece la sicurezza dell’Uomo Cavallo, che ha in animo di vincere 5.000, 10.000 e maratona nel ristrettissimo volgere di una settimana. Più facile a dirsi che a farsi, naturalmente, anche perché i rivali non sono proprio degli sprovveduti e le incognite dietro l’angolo, prima fra tutte quella della maratona, mai provata prima, tanto meno in successione ad altre tre fatiche così ravvicinate. Prime fatiche L’overdose di chilometri comincia domenica 20 luglio, con la finale diretta dei 10.000: incurante degli impegni che lo attendono successivamente, Zatopek prende il comando delle operazioni dopo soli 3 chilometri e a colpi di improvvise accelerazioni stronca via via tutti gli avversari, ultimo il solito Mimoun, che si arrende a un giro dalla fine e finisce a quasi 16 secondi dall’ex calzolaio della Moravia. Quattro giorni più tardi, archiviata l’apparente routine delle batterie, arriva il bis sui 5.000, decisamente più diffi cile, perché Zatopek è vulnerabile su ritmi a basso regime e deve quindi impegnarsi allo spasimo nel giro finale per avere ragione allo sprint di Mimoun e del tedesco Schade. È il giorno forse più bello della sua carriera, perché a pochi minuti di distanza la moglie Dana Ingrova vince a sorpresa l’oro del giavellotto e gli salta braccia al collo. Debutto Ma la vera apoteosi arriva 72 ore più tardi. Emil si è già cimentato su distanze superiori ai 20 km, e lo ha fatto a suon di primato. Tuttavia le colonne d’Ercole della maratona - per lo meno in competizione, visto che in allenamento la sua massacrante razione quotidiana di strada supera quasi sempre i 40 chilometri - gli sono del tutto ignote. Quello è un terreno di caccia che non gli appartiene, un giardino sinora coltivato da altri. Il britannico Jim Peters, tanto per cominciare, che con 2:20’42”2 , due mesi prima, ha fatto segnare la miglior prestazione mondiale sulla distanza. Oppure Stan Cox, altro figlio d’Albione, protagonista in quella stessa gara-record alle spalle del connazionale. O, ancora, l’argentino Delfo Cabrera, l’eroe di Londra ’48. «Oggi una piccola parte di noi morirà» si lascia scappare Zatopek prima del via di fronte ai 65 avversari con cui dovrà fare i conti, quasi a esorcizzare con una battuta l’attesissimo debutto. Partenza sparata La gara si avvia subito su ritmi lestissimi. Ed è proprio Peters ad accenderla, per far capire a tutti - Zatopek in primis - chi è l’uomo da battere. Prova ne è che, al 5° km, l’inglese transita in testa da solo in 15’ 43” (tempo che in proiezione equivale a togliere 8 minuti al mondiale del momento) con 19 secondi su un terzetto composto da Cox, Zatopek e dallo svedese Gustaf Jansson, altro cliente diffi cile. La situazione non muta più di tanto nei successivi 5 chilometri: Peters fa sul serio e transita al 10° in 31’55”, sempre abbondantemente al di sotto del ritmo da primato, con Zatopek e compagni a 16 secondi. A questo punto Emil rompe gli indugi e innesca la rimonta, seguito dal solo Jansson. Il duo si avventa su Peters intorno al 15° km, con Cox e l’argentino Reinaldo Gorno a un minuto. Quando affianca il battistrada, il neofita Zatopek gli chiede senza mezzi termini se il ritmo non sia troppo veloce. La risposta, perentoria, è negativa. «No, semmai è troppo lento» risponde il numero uno mondiale, forse per ingannare e indurre all’errore il rivale. Il quale si mette allora in testa è ridà fiato al ritmo, con Jansson sempre alle sue calcagna e Peters in leggera diffi coltà. Formalità Verso il 30° km ecco la svolta decisiva: Zatopek resta solo, quasi incredulo. E, poco dopo, Peters si ritira, colpito da crampi, quando però appare ormai chiaro che non può più dire la sua per la vittoria. Da qui in poi, la maratona olimpica diventa per Emil quasi una formalità, sempre che di formalità si possa parlare con tutti quei chilometri che si è messo nelle gambe in una settimana. Del resto nessuno alle sue spalle sembra in grado di rientrare. E lui non dà alcun segno di cedimento, anche se è inevitabile che il ritmo, dopo quell’avvio forsennato, cali. I filo olandesi s’inchinano di fronte alla sua ennesima e forse più grande prodezza. E quando Emil irrompe nello stadio, il primo a spellarsi le mani è proprio il mitico Paavo Nurmi. Zatopek chiude il suo debutto dopo 2:23’03”2, limando di oltre 6 minuti al primato olimpico e fi rmando un en plein che nessuno riuscirà mai più a eguagliare e nemmeno seriamente a tentare. Oltre due minuti e mezzo, più tardi, mentre il vincitore ha appena finito d’infilarsi la tuta, conclude l’argentino Gorno, medaglia d’argento, dopo aver raggiunto e superato al 40° km Jansson, che si consola con il terzo gradino del podio. Poi chiudono il coreano Choi Yoon Chiil, il fi nlandese Karvonen, il campione uscente Cabrera e l’ungherese Dobronyi, tutti sotto il limite olimpico. Zatopek avrà altri due anni ad altissimi livelli e chiuderà la sua favolosa carriera ai Giochi di Melbourne ‘56, con il sesto posto proprio nella maratona, vinta guarda caso da Alain Mimoun, l’uomo che più ne ha maledetto l’irruzione sulla scena. LA CINA E' VICINA Dall’8 al 24 agosto 2008 Pechino ospiterà la diciannovesima edizione dei Giochi dell’era moderna. Come già fatto per gli Europei e i Mondiali, Runners World si avvicina alla rassegna a cinque cerchi raccontando i campioni e le imprese del mezzofondo e del fondo che hanno fatto la storia olimpica. Abbiamo passato al setaccio tutte le edizioni disputate per selezionare, dagli 800 alla maratona, i momenti più esaltanti e carichi di significato del Ventesimo secolo ed è stato arduo scegliere tra tanti campioni ed episodi a loro collegati. Non è stato difficile, però, decidere con chi cominciare: Paavo Nurmi, l’atleta che forse più di ogni altro è entrato nella leggenda olimpica. Anche la scelta del “momento olimpico” successivo, quello di questo mese, è stata obbligata: l’oro nella maratona (dopo i 5.000 e i 10.000) di Emil Zatopek a coronamento di una tripletta mai più realizzata. LA SUPER GIURIA: Roberto L. Quercetani (decano dei giornalisti di atletica leggera), Fausto Narducci (La Gazzetta dello Sport), Franco Fava (Corriere dello Sport-Stadio), Guido Alessandrini (Tuttosport), Marco Sicari (capo uffi cio stampa Fidal), Franco Bragagna (Rai), Maurizio Compagnoni (Sky), Giacomo Crosa (Mediaset), Marco Marchei (Runner’s World) e Paolo Marabini (La Gazzetta dello Sport/Runner’s World).