3 - gelindo bordin - seul 1988
SOMMARIO OLYMPIC MOMENT Ai Giochi coreani c’erano tutti i migliori, ma l’Italia aveva tre assi da giocare. E alla fine tirò fuori quello vincente, facendo saltare il banco “GELO” NEL GRAN CALDO Ultimi metri di gara per Bordin, unico bianco a vincere una gara di corsa in un’Olimpiade tutta africana (foto di Grazia Neri) DA NOI E' QUASI L’ORA DELLA SVEGLIA. La maratona olimpica tira gli italiani giù dal letto un po’ prima del solito, quando in Corea hanno appena fi nito di pranzare, ma guai a perdersi il terzetto azzurro che va all’assalto del podio nella gara che chiude quei Giochi indimenticabili, benché travolti dallo scandalo del dopato Ben Johnson. Non ci nascondiamo: Gelindo Bordin, Orlando Pizzolato e Gianni Poli sono tre assi nella manica azzurra, i tre uomini che hanno lanciato la maratona italiana nell’élite mondiale e hanno tutto per darci quella medaglia che inseguiamo da 64 anni (l’argento di Bertini nel 1924). Bordin, 29 anni da Longare, campagna vicentina, è il campione europeo in carica, colui che tredici mesi prima dei Giochi coreani ha vinto il bronzo ai Mondiali di Roma e che ad aprile, a Boston, ha portato il (già suo) record italiano (2:09’27”) in una dimensione internazionale. Pizzolato, 30 anni da Piovene Rocchette, vicentino pure lui, è mister New York, il primo italiano ad addentare la Grande Mela, addirittura due volte di fila (‘84 e ’85). Anche Poli, 30 anni, bresciano di Lumezzane, ha conosciuto il trionfo in Central Park, in quell’86 che lo aveva visto anche argento europeo, lui che nell’85 era stato il primo italiano a infrangere il muro delle 2 ore e 10 minuti. Facile dire, allora, che questa è gente su cui si può anche puntare forte per una medaglia, pur con tutte le incognite di una gara olimpica, da correre con il caldo (28 gradi alla partenza) e con un’umidità tremenda, al cospetto di avversari fortissimi. QUANTI BIG! Al via dallo stadio olimpico sono in 124. E i big ci sono quasi tutti, a parte l’etiope Dinsamo, numero uno nella graduatoria all time. C’è l’intero podio dei Mondiali ’87: oltre a Bordin (bronzo), il keniano Wakiihuri, campione iridato, e il gibutiano Saleh, il favorito, che ha vinto anche le ultime due edizioni della Coppa del Mondo e ad aprile, in scia a Dinsamo, ha centrato la seconda prestazione mondiale di sempre (2:07’07”). Poi ci sono l’argento e il bronzo dei Giochi ’84: l’irlandese Treacy e il britannico Spedding. E non manca l’ indomito australiano De Castella, iridato ’83, già primatista mondiale, non più giovanissimo ma sempre da temere. Ci sono anche il giapponese Nakayama, che su questo percorso ha vinto nell’85 e nell’86, quindi ne conosce le insidie meglio di tutti, e il keniano Hussein, re in carica di New York. E poi il tanzaniano Ikangaa e l’altro australiano Moneghetti, giusto per citare due autorevoli outsider. CEDE PIZZOLATO I tecnici indicano Bordin come il più in forma del terzetto tricolore. Di certo “Gelo” - pettorale numero 579, alla decima maratona della carriera, quattro anni dopo il debutto - è il più temuto dalla pattuglia straniera. Sin dalle prime battute, nell’aria di Seul si respira l’atmosfera della battaglia tattica, tipica della maratona olimpica. Il ritmo è subito lesto ma si intuisce chiaramente che c’è grande tensione. È un folto gruppo quello che transita ai 5 km dopo 15’34”. E più o meno la stessa trentina di atleti battezza il 10° km dopo 30’32”, con un progressivo aumento di andatura (14’58” il secondo parziale) che mette in difficoltà, tra gli altri, Pizzolato, cronometrato a 1’ 06” dai battistrada: non ci resta che sperare nella sua scelta di partire come al solito prudente, ma sarà una speranza vana. MOLLA ANCHE POLI Non cambiano le cose nei successivi 10 chilometri (15’25” e 15’24” le due frazioni): il messicano Mondragon è il più vispo in testa quando la corsa inizia a costeggiare il fiume Han, ma gli altri sono subito lì e controllano la situazione senza patemi. A dar manforte a Mondragon si alternano Nakayama e il tanzaniano Bura. Danno a turno qualche strattone e il gruppo di testa comincia a sfoltirsi. Cedono Hussein e Treacy: due ossi duri in meno. Ma accusa il colpo anche Poli, che al km 25 transita a 7” dai 13 al comando (15’35” l’intermedio dei primi) lasciando intendere di non avere il passo dei giorni migliori. A questo punto ci resta Bordin. L’allievo di Luciano Gigliotti corre bene, pulito, attento, in mezzo a quel gruppetto che però ha ancora troppi nomi importanti: Wakiihuri, Saleh, Nakayama, Spedding, Moneghetti, Ikangaa, De Castella, anche il giapponese Seko, sono tutti clienti temibilissimi. L’ATTACCO Si entra nel vivo e bisogna cominciare a studiare qualcosa. E la prima miccia la accende proprio il numero uno azzurro. Risultato: al 35° restano in testa Bordin, Ikangaa, Wakiihuri, Nakayama, Spedding e Saleh. Ormai siamo alla resa dei conti, agli ultimi venti minuti di emozioni forti. Chilometro 37: parte deciso Saleh e Bordin non se lo lascia scappare portandosi appresso anche Wakiihuri. Gli altri stentano e l’odore di medaglia inizia a farsi sentire nel clan azzurro. Ma dopo 800 metri, quando Saleh, su un leggero strappo, dà un’ ulteriore scossa, Bordin si stacca: sembra in difficoltà, non riesce proprio a rispondere al gibutiano, ma quell’attimo che lì per lì ci scoraggia, alla fine si rivelerà decisivo. Chilometro 39: Saleh è sempre primo, Wakiihuri lo segue a 15”, Bordin è a 35” e comincia a pensare al bronzo da portare in salvo. LA GRANDE RIMONTA Gelindo dà fondo allora alle ultime energie per respingere la rimonta di Nakayama, che ha superato il momento difficile e si sta riportando sotto. Anche l’azzurro, però, sembra tornato più tonico. E quando là davanti vede la sagoma di Wakiihuri avvicinarsi sempre più, perché il keniano è entrato in riserva, prende coraggio. A 2 chilometri dal traguardo l’africano è raggiunto. Bordin lo supera di slancio, il podio sembra ormai sicuro. Ma i giochi non sono ancora fatti, perché anche Saleh comincia a perdere i colpi. Quel parziale di 15’14” degli ultimi 5 chilometri presenta un conto salato all’uomo di Gibuti, che piomba in crisi. Arranca, barcolla, a un certo punto sembra non averne davvero più. Bordin lo prende quando mancano 1.600 metri alla fine e gli basta giusto una manciata di secondi per lasciarlo lì e lanciarsi verso il trionfo. Adesso lo spinge il cuore, più che le gambe. È un chilometro e mezzo interminabile, sembra non finire mai, e la tensione ci entra in corpo tutta. L’ORO, INFINE Ma finalmente la sagoma bianca dell’ex capocantiere vicentino spunta dal tunnel dello stadio, sola. Sì, ormai è fatta. Gelindo non si volta, non si cura di Wakiihuri che ha ripreso Saleh e si avvicina minaccioso. No, nessuno lo può più prendere, nessuno gli può più sfilare la medaglia d’oro, ottant’anni dopo il dramma di Pietri, in quel giro all’interno dello stadio che pare eterno ma non sarà drammatico come il finale di Dorando. Taglia il traguardo in 2:10’32” - unico bianco a vincere una gara di corsa in quest’Olimpiade tutta africana - e un metro dopo la linea s’inginocchia a baciare la terra, restando inchiodato sulla pista, con i muscoli paralizzati dalla fatica, mentre Wakiihuri strappa l’argento a 15” e Saleh salva almeno il bronzo, a 27”, con Nakayama pochi metri più dietro. Poi tutti gli altri, con Pizzolato 16°, a 4’48”, e Poli 19°, a 5’53”. Mai una maratona olimpica aveva avuto un esito così incerto, mai c’era stato così poco margine tra il primo e il secondo. E l’Italia può brindare al suo oro più bello. IL CAPOLAVORO DI LUCIANO GIGLIOTTI «Sì, quella di Gelindo fu una gara perfetta: non sbagliò nulla». Luciano Gigliotti - l’uomo che portò Bordin sino all’oro di Seul, e ha fatto il bis 16 anni dopo con Stefano Baldini - non ha mai avuto dubbi. «Anche quando, al 37° km, Saleh scappò via, lui fece la mossa giusta - prosegue il tecnico modenese -. Ebbe la lucidità per capire che quel ritmo sarebbe stato fatale. E non lo dico solo perché poi raccolse i resti di Saleh e Wakiihuri. Del resto Gelindo era bravissimo a leggere le gare, raramente sbagliava, a dispetto di chi pensa che fosse irruente e istintivo. È vero anche che a Seul si presentò in uno stato di grazia mai visto. Similitudini con Baldini? Gelindo più resistente, Stefano più veloce, ma stessa professionalità e applicazione. Pur avendo caratteristiche diverse, il lungo percorso di avvicinamento all’oro olimpico è stato simile: se si apre una via vincente, è logico poi cercare di ripeterne le linee guida». (nella foto, Gelindo abbracciato dal tecnico Gigliotti)