Formia, Rieti, Firenze, Roma? Dopo l’ultima giornata dei 19° Campionati Mondiali, possiamo ben dire che Budapest è la nuova capitale dell’atletica leggera italiana. Vittorie, medaglie, record e piazzamenti: i numeri raggiunti nella prima città dell’Ungheria rappresentano un nuovo traguardo per l’Italia, un punto da cui guardare dall’alto tutti i Campionati Mondiali della storia.

Le medaglie vinte dall'Italia dell'atletica

Sono 4 le medaglie vinte dall’Italia, con l’oro di Gianmarco Tamberi nel salto in alto, l’argento di Leonardo Fabbri nel lancio del peso e la staffetta 4x100, il bronzo di Antonella Palmisano nella 20 km di marcia. Un bottino equamente condiviso tra salti, lanci, corse e strada, segno della vitalità di tutto il settore. Facciamo il confronto con la Spagna. Gli iberici vantano sì 5 medaglie, di cui ben 4 d’oro, ma le loro vittorie arrivano da soli due atleti che hanno dominato le 4 gare di marcia: Maria Perez e Alvaro Martin. Sia chiaro, avere dei fuoriclasse in squadra non è una colpa, anzi. Però non basta per valutare un intero campionato.

Per trovare altrettante medaglie azzurre bisogna andare indietro a Edmonton 2001, Siviglia 1999 o Stoccarda 1993 (ma senza vittorie), mentre per trovarne di più bisogna arretrare fino alle 5 di Roma 1987 e alle 6 (record) di Goteborg 1995. Come dire, era più di vent’anni (nei 40 della storia dei Mondiali) che l’Italia non vinceva così tanto. I nostri metalli ci regalano il 13° posto generale in una classifica che vede presenti addirittura 46 paesi. Ci lasciamo alle spalle la Francia, che chiude con un solo argento agguantato nell’ultima gara (4x400 maschile). L’impresa non è riuscita alla Germania: i tedeschi chiudono con zero medaglie. Non era mai successo nella loro storia. Dopo i due metalli (oro e bronzo) dell’anno scorso, stavolta nulla. Non vorremmo essere nei panni dei dirigenti tedeschi.

Mondiali di Budapest, Italia in positivo anche nella classifica a punti

Tabella dei piazzamenti. Nello sport più mondiale che ci sia, con 2mila atleti da 200 e più nazioni, non è sufficiente il semplice calcolo delle medaglie per giudicare i valori in campo. La “placing table” è la classifica che tiene conto dei primi 8 classificati, ovvero i cosiddetti finalisti. Uno strumento in più per valutare la “profondità” di una nazione. L’Italia di Budapest ha totalizzato 51 punti grazie a 13 finalisti. Quelli derivanti dalle medaglie (27) si sommano al 4° posto della 4x100 femminile, al 5° di Larissa Iapichino nel lungo, il 6° di Ayomide Folorunso nei 400 hs e di Sara Fantini nel martello, al 7° di Massimo Stano nella 35 km di marcia e delle staffette 4x400 uomini e donne, all’8° di Emmanuel Ihemeje e Dariya Derkack nel salto triplo. Anche se fuori classifica, non dimentichiamo i 9° posto di Alessandro Sibilio nei 400 ostacoli, Claudio Stecchi ed Elisa Molinarolo nel salto con l’asta.

Anche qui, il confronto con il passato è positivo. L’anno scorso a Eugene i punti furono 39, a Doha 16 e a Londra 2017 solo 10, il “record” negativo. Anche qui bisogna risalire a Siviglia 1999, atletica dello scorso millennio, per trovare di meglio. In Spagna vennero totalizzati 55 punti, a Roma 61 e a Goteborg 63. I nostri 51 punti ci portano all’8° posizione generale (su 71 nazioni in classifica), a pari con Australia e Olanda. In ottica europea, ci sopravanzano solo Gran Bretagna (102) e Spagna (55).

Le positività della squadra azzurra non finiscono qui. Su tutto brilla il poker di staffette in finale, le due 4x100 e 4x400. La mancata finale della staffetta mista penso interessi a ben pochi: una gara senza valori storici né tecnici che nulla aggiunge alla specialità. I due record italiani al femminile (42”14 e 3’23”86) sono poi la ciliegina sulla torta. Vogliamo poi dimenticarci di altri due record italiani? Bravissima Ayomide Folorunso nei 400 ostacoli, che con 53”89 scende per la prima volta sotto i 54” per il suo secondo primato dell’anno. Sorpresa per Zaynab Dosso, che dopo qualche problema fisico a inizio stagione ha recuperato al meglio arrivando a pareggiare con 11.14 nei 100 metri il tempo di Manuela Levorato targato 2001. Altro dato importantissimo è questo: 65%. E’ la percentuale degli azzurri (33 su 51) che hanno superato il primo turno, segno che nessuno ha affrontato il mondiale come una gita premio. Nove azzurri hanno migliorato il primato personale, 15 quello stagionale.

Chiari e scuri. “Bipolare” la prova di Nadia Battocletti. Sfiora il suo record italiano nelle semifinali dei 5000 metri per meno di mezzo secondo (14’41”78), crolla nella finale prima ancora che la gara si infiammi. Cieli neri per Yeman Crippa, mai protagonista nei 10000 metri, chiusi al 12° posto (28’16”40) in una gara corsa su ritmi da mezza maratona. Ottima Ludovica Cavalli che raggiunge la finale dei 1500 correndo due volte il primato personale fino a 4’01”84 (11° posto). Brava ma sfortunata Sintayehu Vissa, fuori in batteria pur con il personale di 4’01”66 (terza italiana all time). Ancora solidissimo Piero Arese, che si ferma in semifinale nei 1500 ma con il personale portato a 3’33”11, ora a soli 40 centesimi dal primato di Gennaro Di Napoli.

Applausi anche per i nostri 800isti. Simone Barontini e Catalin Tecuceanu si fermano in semifinale, ma vendono cara la pelle con i nuovi primati personali: 1’44”34 e 1’44”79. Lo stesso dicasi per Eloisa Coiro: in semifinale la romana si migliora con 1’59”61.

La maratona azzurra non esce male. Daniele Meucci è 10°, Yohanness Chiappinelli 11° e Giovanna Epis 12°, però il mondo è ancora troppo lontano.

Cosa ricorderemo dei Mondiali Budapest

Il record del mondo della staffetta americana nella 4x400 mista (3’08”80) impallidisce di fronte ai brividi arrivati dai “quasi record” dell’americano Ryan Crouser nel peso (23,51), 5 centimetri, e della giamaicana Shericka Jackson nei 200 metri (21”41), 7 centesimi. Caduta e risurrezione per l’olandese Femke Bol, faccia a terra nella finale della 4x400 mista e poi oro nei 400 ostacoli e nella 4x400 con la rimonta finale più incredibile degli ultimi vent’anni. Jacob Ingebrigtsen continua a perdere dai britannici (stavolta Josh Kerr) nei 1500 metri, ma poi si rifà nei 5000. Arriverà l’oro anche per lui. Non fallisce invece la doppietta per la keniana Faith Kipyegon, regina assoluta delle distanze. Stavolta niente record del mondo per lo svedese Armand Duplantis (6,10) nel salto con l’asta: deve accontentarsi del secondo titolo nel salto con l’asta. Trema fino alla fine invece la venezuelana Yulimar Rojas: all’ultimo salto si prende la vittoria nel triplo (15,08) dopo una gara piena di errori tecnici. Campionessa anche di salvataggio.