Ci si aspettava una edizione palpitante dei Campionati Mondiali Indoor di Glasgow e così è stata. A cominciare dalla copertura tv, con l’atletica che è tornata a far capolino (tra tagli e frattaglie di tg) su Rai 2 da venerdì a domenica. È l’anno olimpico, si sente già nell’aria il vento che soffia da Parigi.
Per l’atletica azzurra è certamente stata una grande edizione. La migliore, sembrano dire le statistiche. È mancato l’oro (l’ultimo resta quello di Marcell Jacobs nei 60 metri a Belgrado due anni fa), ma sono arrivate 4 medaglie come a Siviglia 1991. In Spagna ci fu l’argento di Giovanni De Benedictis nella marcia, poi i bronzi di Giovanni Evangelisti nel lungo, di Ileana Salvador nella marcia e della 4x400 maschile. Il tempo è passato ed è cambiato: la marcia non è più nel programma di gare, la 4x400 a Glasgow non era presente.
Così il medagliere scozzese diventa il migliore di tutti, con i due argenti di Mattia Furlani nel lungo e di Lorenzo Simonelli nei 60 ostacoli, e i due bronzi di Leonardo Fabbri nel peso e di Zaynab Dosso nei 60 metri.
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Quattro medaglie ciascuna con un peso specifico diverso. Se per Fabbri è la conferma della sua caratura mondiale, per Furlani è il battesimo di fuoco in un campionato “da grandi”, lui che è ancora uno junior (under 20), ma che si prende il lusso di fare la stessa misura del greco Tentoglou: oro perso o argento vinto? Simonelli è secondo correndo nuovamente a suon di record italiano, conquistando l’unica medaglia disponibile dietro l’invincibile e imbattuto americano Grant Holloway: in pratica, è il nuovo campione… del resto del mondo. Zaynab Dosso porta la velocità femminile italiana dove mai era arrivata nel mondo, a eccezione del bronzo olimpico di Giusi Leone nei 100 metri dei Giochi di Roma del 1960: dopo Jacobs, siamo sbarcati su un nuovo pianeta.
È un'Italia che (stra) convince
Quel che fa gridare però a un nuovo miracolo italiano è la consistenza di tutta la spedizione azzurra. In pista sono scesi 21 atleti (nessuna staffetta) e 11 si sono piazzati nei primi 8: più della metà in finale. Risultato incredibile, solo gli Stati Uniti hanno fatto meglio con 35 finalisti su 71 atleti (staffette comprese però). Gran Bretagna, Etiopia e Belgio si fermano a 10 finalisti.
Questo significa che oltre al miglior medagliere di sempre c’è anche la miglior classifica a punti, quella che tiene conto appunto dei finalisti. L’Italia ha totalizzato 50 punti, superata solo dai suddetti USA (195) e dalla Gran Bretagna (51). L’Italia è l’unica squadra a essere tra le migliori sette senza aver vinto alcuna medaglia d’oro.
L'unico "neo": il mancato oro
Proprio la mancanza di una vittoria è l’unico elemento che rende un po’ meno brillanti i risultati di Glasgow. Il medagliere nudo e crudo, quello che tiene conto dei tre metalli e che va in ordine di medaglie d’oro, ci vede scivolare fino in 16° posizione. Gli Stati Uniti conquistano 6 ori e 20 medaglie, il Belgio è secondo con 3 ori e 1 bronzo, sei nazioni europee ci precedono (Belgio, Paesi Bassi, Gran Bretagna, Svezia, Grecia e Svizzera).
Questioni di prospettiva e di punti di vista. Noi ci teniamo ben stretti i due nuovi primati italiani di Lorenzo Simonelli (7”43) e di Sveva Gerevini nel pentathlon (4559 pt), dove la carabiniera cremonese è arrivata 4° a 12 punti dal bronzo: mai un’italiana così in alto nelle prove multiple a livello mondiale. Anche qui tocca scomodare le Olimpiadi di Roma ’60 per trovare qualcosa di simile: il 6° posto di Franco Sar nel decathlon.
Gli altri finalisti: promossi e “meno promossi”
Catalin Tecuceanu voleva una medaglia negli 800 metri, gara che al coperto somiglia sempre più a un incontro di MMA. Il veneto non è stato a guardare quando c’era da menar le mani per tenere la posizione, ma sono colpi che sfiancano e così quando i tre del podio scappano, lui non ne ha abbastanza per rimontare. Arriva un 4° posto che è una grande iniezione di fiducia.
Zane Weir ormai vive tra i grandi, in tutti i sensi, del getto del peso. Qui è 4° dietro al suo compagno di allenamenti. Bene così: a Roma e Parigi avremo l’imbarazzo della scelta su chi tifare in finale.
Emmanuel Ehemeje è 5° nel triplo con 16.90, il bronzo era a meno di 20 centimetri e per il bergamasco che vive in America era questo il momento giusto per un podio mondiale: occasione persa.
In 7° posizione chiudono Larissa Iapichino nel lungo (6.69) e Pietro Arese nei 3000. Risultato che forse non soddisfa la Iapichino, frenata anche dai crampi, ma i salti sono in linea con quelli di questa stagione indoor: non particolarmente esaltanti. La ritroveremo più carica all’aperto. Per Arese ancora una finale da protagonista in attesa di diventare un super protagonista nei suoi 1500.
Il ritrovato Chituru Ali ha conquistato la finale mondiale dei 60 metri, impresa mai facile per chiunque. Il comasco lo ha fatto a suon di primato personale (6”53), poi in finale si è rialzato fermato dai crampi. Il prossimo obiettivo ora è chiaro a tutti: diventare il terzo italiano a correre i 100 metri in meno di 10 secondi.
Stecca ancora Samuele Ceccarelli
Di contro ad Ali c’è forse l’unica, vera controprestazione italiana, che viene proprio dal grande protagonista della stagione indoor 2023: Samuele Ceccarelli, il campione europeo dei 60 metri. Questo inverno il massese non va, incollato a terra da non si sa quale colla invisibile. A Glasgow esce mestamente in batteria con 6”77, tempo che (purtroppo) non sorprende. Un’esperienza che si poteva anche evitare.
Applausi a chi ha approfittato della ribalta mondiale per migliore il personale: Francesco Pernici negli 800 (1’47”38), Eloisa Coiro negli 800 (1’59”76, seconda italiana all time, meglio di Gabriella Dorio) e Giada Carmassi nei 60 ostacoli (8”03).
Il mondiale indoor oltre l'Italia
Se usciamo dai confini di casa nostra, che cosa ci ha offerto lo spettacolo mondiale? Noah Lyles è velocissimo ma non ancora abbastanza per battere Christian Coleman (6”41) nei 60 metri. Una sconfitta che pesa più sulla sua sicurezza che sul suo valore atletico. L’americano si butta poi nella staffetta 4x400 che perde dal Belgio. Ora è guerra di “dissing” social tra lui e Fred Kerly, che non ha apprezzato la scelta. Tira già aria di tempesta in casa americana.
Armand “Mondo” Duplantis ha fatto una delle sue rare apparizioni “terrestri”. Abituato a volare solitario oltre i 6 metri nell’asta, ci ha fatto intenerire con due errori a quota 5.85. Colpo di teatro o reali difficoltà? Come per la Ferragni, con lui non si sa mai cosa è finzione e realtà, tanto è bravo a saltare.
Uno sguardo al salto in alto, dove mancava Tamberi, ma c’era qualche suo possibile avversario. Finale piuttosto scarica, con 2.28 si prende l’argento e il bronzo. L’oro però va al neozelandese Hamish Kerr con 2.36, miglior misura dell’anno. Ecco un nome da aggiungere ai pericoli parigini.
Il mezzofondo non è più feudo africano
Breaking news: il mezzofondo non è più feudo africano. Etiopia e Kenya non hanno mostrato la superiorità di un tempo sulle distanze di 800, 1500 e 3000 metri. Solo gli 800 donne restano enclave africano, dove in finale l’unica europea è l’idolo di casa Jemma Reekie, terza. Le etiopi vincono anche i 1500, ma tra gli uomini è tutto diverso. Zero africani negli 800 vinti dall’americano Hoppel; il podio dei 1500 è condiviso tra Nuova Zelanda e Stati Uniti; nei 3000 vince lo scozzese Josh Kerr, il castigatore di Ingebrigtsen ai Mondiali di Budapest. Stupiscono gli USA che vincono anche i 3000 donne con la super mamma Elle St. Pierre e portano a casa 7 medaglie in 6 gare.
La cartolina finale viene dall’altra parte del mondo, dalla Nuova Zelanda. Ce la porta, velocissimo Geordie Beamish, capellone di 27 anni, 5° nei 3000 siepi ai Mondiali di Budapest e campione universitario americano dei 1500 nel 2019. Si era presentato a Glasgow con il 29° tempo dei 32 iscritti, in finale ha fatto l’impossibile: in terza corsia ha recuperato cinque posizioni negli ultimi 40 metri, dopo esser rimasto sempre fuori dai giochi di testa.
Impossibile non farsi emozionare da un’impresa che ricorda da vicino quelle di leggendari miler kiwi come Peter Snell (3 ori olimpici tra Roma e Tokyo, 800 e 1500) o John Walker (oro a Montreal). Piace immaginare che laggiù, dove ora l’estate sta finendo, un telecronista abbia gridato: “Beamish, Beamish, Beamish!”.