Cento maratone in cento giorni. Un'impresa da supereroe... "Un supereroe io? E allora che cosa dovrebbe dire Jonas Deichmann, il tedesco che ha concluso 120 Ironman in 120 giorni?". Marco Matteazzi ha 24 anni e da due corre contro il bullismo.

"Ne ho sofferto fino alla conclusione delle scuole superiori - racconta -. Pesavo più di 80 chili, non avevo un muscolo. Non mi sentivo mai al mio posto, senza capire che non era il grasso il vero problema. Ero io. La corsa, con questi traguardi un po’ folli, mi ha fatto capire che per accettarsi bisogna lavorare su sé stessi. Io ce l’ho fatta: ora voglio aiutare gli altri a capirlo".

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courtesy of Mizuno

Cento maratone in cento giorni: correre contro il bullismo

Nel 2024, Marco ha corso 100 mezze maratone in 100 giorni, quest’anno ha deciso di raddoppiare: i 21 chilometri quotidiani, da correre in cento città diverse, sono diventati 42 (i chili, intanto, sono scesi a poco più di 50). Non contento, l’ultimo giorno Marco sarà al via del Passatore: altri cento chilometri da aggiungere agli altri 4200. Una montagna da scalare con il sostegno tecnico di Mizuno e partner dell'iniziativa, ma senza avere alle spalle un’équipe medica. "Non ho neanche un fisioterapista al seguito - spiega - ma spesso c’è qualche massaggiatore che mi contatta sui social e mi offre un trattamento tra una maratona e l’altra".

L’obiettivo è raccogliere fondi per la Fondazione Libra e le sue iniziative contro bullismo e cyberbullismo. "Finora sono stato tra le 4 ore e 40’ e le 5 ore - dice Marco nel Flagship Store di Mizuno a Torino - ma andando avanti credo che scenderò di qualche minuto. Nella challenge delle mezze maratone è andata così: sono partito da 2 ore e 20’, sono arrivato a 1 ore e 45’. Ma è chiaro che in un’impresa del genere il cronometro è l’ultima delle preoccupazioni".

Cento maratone in cento giorni, la giornata di Marco Matteazzi

Com’è la giornata di un runner che corre cento maratone consecutive? "Diciamo che non ho molto tempo libero - sorride Marco -. Intanto cerco di dormire almeno 8 ore a notte, ma mi sveglio sempre almeno un’ora prima della sveglia. In genere quando mi alzo ho lo stomaco chiuso, a colazione mangio poco: in genere uno shake alle proteine e qualche galletta. Quindi mi sposto per raggiungere la città dove devo correre. C’è il pranzo, poi arriva la maratona: la faccio e saluto chi mi ha accompagnato fino al 42esimo chilometro. Ormai siamo a pomeriggio inoltrato: registro il reel da pubblicare sui social, vado in un supermercato a comprarmi il cibo per la cena. Non seguo una dieta: mangio quello che capita e quello che mi va. Rientro al B&B e faccio una doccia fredda: dieci minuti per gamba. Poi cucino, mangio, faccio un po’ di stretching e cerco di dormire. Senza pensare troppo alla fatica del giorno dopo".

L’indomani si ricomincia: "È un po’ alienante - ammette -. Quando la cosa mi sembra troppo pesante, mi dico che cento giorni possono sembrare tanti, ma nell’arco di una vita sono poco più di una parentesi…".

Cento maratone in cento giorni, l'impresa di Marco tra ispirazione e commenti negativi

Giorno dopo giorno, l’impresa di Marco Matteazzi e la sua lotta al bullismo diventano sempre più note. "Qualcuno comincia a riconoscermi - racconta -. L’altro giorno il commesso di un negozio di sport mi è venuto incontro dicendo: 'Mi raccomando

non mollare'. Ma la cosa che mi fa davvero piacere è vedere il comportamento di chi corre insieme a me: nessuno si lamenta, quasi tutti corrono più di quanto fossero intenzionati a fare. L’altro giorno una ragazzina di 15 anni che non aveva mai corso più di 7 chilometri ne ha fatti 21… Io non incito nessuno a esagerare, se vedo qualcuno che è troppo stanco lo invito a fermarsi. Ma è bellissimo che qualcuno provi ad andare oltre i propri limiti come sto facendo io…".

Può sembrare incredibile, ma anche un’impresa come questa trova i suoi odiatori da tastiera: chi dice che Marco è un esibizionista perché 'si fa i video mentre corre', chi lo accusa di non lavorare e di 'avere molto tempo da perdere' chi di dare un esempio negativo, 'perché correre così tanto fa male…'. Una cosa, però, sembra aver fatto male più delle altre.

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"Ho raccontato spesso che tutto è iniziato perché un professore mi ha chiamato 'polpetta' davanti ai compagni di classe: ero sovrappeso, avevo la pancia e lui credeva di essere spiritoso - ricorda –. Qualcuno ha scritto che quel professore ha fatto bene, che dovrei ringraziarlo perché senza di lui sarei un obeso sdraiato sul divano. Non hanno capito che quando un professore ti umilia va oltre le ragioni della presa in giro: quelle parole hanno ferito la mia autostima, non il mio grasso. E mi sono rimaste dentro anche quando il grasso se n’era andato. E poi non tutti reagiscono, c’è anche chi va in depressione e non si risolleva mai più".