Nel panorama vibrante delle sfide nel mondo dello sport, poche storie risuonano con la potenza emotiva e la portata storica della faida tra i fratelli Adi e Rudolf Dassler. Partendo dal principio: nel paesino di Herzogenaurach, nei pressi di Norimberga, i figli di un calzolaio si scoprono visionari imprenditori globali.
Siamo nel secondo dopo guerra, i due fratelli e soci si separano senza possibilità di riconciliazione, Adi fonda adidas, Rudolf quella che diventa Puma. A rendere leggendaria nell’immaginario moderno la rivalità, ferocissima, tra loro, e le loro generazioni successive, è probabilmente la familiarità che abbiamo con i due marchi, ovunque presenti nelle piste d’atletica e nei campi da gioco, dall’oratorio alle Olimpiadi, in Italia, nel mondo intero.
Tutto ciò che è accaduto lontano dai riflettori, è stato raccolto e raccontato da Barbara Smit, nel libro da alcuni giorni pubblicato in Italia da Limina Editore con il titolo La sfida del secolo. E, in effetti, la storia di Adi e Rudolf, iniziata prima della nascita della fondazione delle rispettive aziende, ha attraversato il ‘900 ed è l’origine di quasi tutto quello che rende lo sport oggi contemporaneamente business e marketing, spettacolo globale e immaginario collettivo.
Il libro che racconta la storia di adidas e Puma
Smit, La sfida del secolo è un racconto immersivo. Cosa ha ispirato il suo appassionato interesse per la storia dei fratelli Dassler e della loro epica rivalità?
“In precedenza ho scritto un libro sulla storia di Heineken, anch'essa storia familiare con un personaggio molto interessante e un grande marchio, e un prodotto di cui tutti amano parlare. La storia dei Dassler è più potente ancora. È una combinazione molto intrigante di saga aziendale e storia familiare, ambientata nel colorato mondo dello sport. È anche qualcosa in cui ci si può immedesimare, perché i due marchi sono così conosciuti ovunque. Pensavo di raccontare soltanto la storia dei due fratelli, ma durante la ricerca ho scoperto che c'era di più, a causa dell'influenza che le generazioni della famiglia Dassler hanno avuto nel plasmare lo sport come lo conosciamo oggi”.
Il libro fornisce una ricerca storica approfondita, raccontata come un romanzo, con sfumature di avventura e thriller: cosa ha motivato questa scelta stilistica?
“È una storia piena di intrighi e tensione drammatica, quindi è stato naturale rifletterlo nella narrazione. Il dramma familiare, la rivalità aziendale, il mondo dello sport hanno tutti delle componenti epiche”.
I dettagli e gli aneddoti storici sono ovunque nel libro. Ha avuto il supporto delle due aziende per raccoglierli?
“Il museo di adidas non esisteva quando ho iniziato a fare le mie ricerche. Ricordo che c'erano solo alcune scatole polverose, alcune vecchie scarpe nella fabbrica di Scheinfeld. Mentre la famiglia, nel suo complesso, conservava alcuni documenti privati. Ho ricostruito la storia con ricerche a tavolino e intervistando decine di persone, atleti, imprenditori, dipendenti, amici o conoscenti, alcuni personaggi davvero straordinari, che hanno vissuto dal vivo le varie vicende negli anni, dall'Europa agli Stati Uniti, al Giappone e alla Cina. E ho notato che molti si divertivano a ricordare i tempi in adidas e Puma, perché spesso erano tempi entusiasmanti”.
Dalla lettura del suo libro, sembra che Adi fosse il fratello più carismatico e che Rudolf abbia cercato di emularlo. Ma quando le aziende hanno iniziato a crescere oltre i loro fondatori, secondo lei?
“Entrambi i fratelli erano carismatici a modo loro. Adi suscitava molto rispetto grazie al suo duro lavoro e alla sua ingegnosità. Mi è stato detto che sfornava costantemente idee, non solo per le scarpe ma per ogni sorta di invenzione. Era anche genuinamente appassionato di sport e si sentiva utile quando poteva aiutare gli atleti, di qualunque livello, a dare il meglio. Anche Rudolf era apprezzato dal suo team, ed era un uomo d'affari intelligente, specie in termini commerciali. Ad esempio, la sua idea di concentrarsi su calciatori e atleti di spicco è più in linea con il marketing moderno rispetto all'approccio adidas dei primi tempi. Ma credo che sia stato il carisma silenzioso di Horst Dassler (figlio di Adi e fondatore del marchio sportivo Arena, n.d.r.), combinato con una visione intelligente e un incredibile mole di lavoro, a rendere duratura l'ascesa del business sportivo”.
Perché pensa fosse importante raccontare questa storia?
“Di questa storia mi piace tutto. Dal dramma familiare alla rivalità aziendale, all'intrigo politico e all'eccitazione delle grandi competizioni sportive. Ci sono tutti gli ingredienti che consentono una grande narrazione. Ma allo stesso tempo, la rivalità tra adidas e Puma ha plasmato il mondo dello sport, una grande industria e un fenomeno sociale”.
Quali sono i capitoli futuri di questa rivalità?
“adidas è diventata molto più grande di Puma e Nike le supera entrambe. Quindi la rivalità ha assunto un'altra dimensione: è diventata globale, con competizione in aumento per le tecnologie sportivi e una maggiore influenza della moda. Ma entrambi i marchi sono rimasti a Herzogenaurach e, anche grazie alla loro storia, la rivalità tra loro continua ad essere speciale. In questo contesto, è stato piuttosto sorprendente vedere l'amministratore delegato di Puma passare alla guida di adidas due anni fa. E solo pochi giorni fa, Puma ha deciso di sostituire il suo amministratore delegato con un manager che ha trascorso molti anni in adidas, come responsabile delle vendite globali”.
Insomma, gli spiriti di Adi e Rudolf continuano ad alimentare la sfida del secolo.