Momenti mondiali: eliud kipchoge
LE GARE CHE ISPIRANO. Non si è ancora spenta l’eco degli Europei di Göteborg e un altro conto alla rovescia è pronto a scattare, quello con i Campionati del mondo che dal 25 agosto al 2 settembre 2007 celebreranno a Osaka - ancora in Giappone, 16 anni dopo le magiche giornate di Tokyo - l’undicesima edizione (Osaka2007.jp). Come già per la rassegna continentale, Momenti di gloria vi accompagnerà su RW per questi dodici mesi facendovi rivivere le emozioni più forti della corsa, dagli 800 alla maratona, stavolta non più circoscritte alle imprese azzurre, ma estese a tutte le gare, selezionate per voi ancora da una giuria di esperti, di personaggi legati a fi lo doppio all’atletica leggera e al mondo della corsa in particolare. Una selezione difficile, perché ricordare dieci edizioni - oltre un centinaio di competizioni - è un esercizio ostico persino per chi ha la memoria ferrea e sa sfogliare l’album dei ricordi anche con il pensiero. Dal prossimo numero saranno loro ad accompagnarci in questo viaggio nel tempo, in questo countdown di avvicinamento all’evento in assoluto più importante dello sport dopo le Olimpiadi. Per la prima puntata, come fu per gli Europei con Luigi Beccali, ci siamo però riservati di scegliere noi di RW l’emozione più viva dell’edizione inaugurale di Helsinki. Ma siamo certi che anche i nostri esperti avrebbero indicato stessa gara e stessa vittoria. Chi meglio di Alberto Cova e del suo trionfo sui 10.000, infatti, poteva aprire Momenti di gloria mondiali? LA SUPER GIURIA: Roberto L. Quercetani (decano dei giornalisti di atletica leggera), Fausto Narducci (La Gazzetta dello Sport), Franco Fava (Corriere dello Sport-Stadio), Guido Alessandrini (Tuttosport), Marco Sicari (capo uffi cio stampa Fidal), Franco Bragagna (Rai), Maurizio Compagnoni (Sky), Giacomo Crosa (Mediaset), Marco Marchei (Runner’s World) e Paolo Marabini (La Gazzetta dello Sport/Runner’s World). Uno si chiama Hicham El Guerrouj ed è l’imperatore del mezzofondo veloce: quattro giorni prima ha già vinto i 1.500 e vuole azzardare una doppietta mai riuscita ad altri, col pensiero che già corre all’anno dopo, quando tenterà quell’accoppiata alla Paavo Nurmi sul più prestigioso palcoscenico olimpico che finora lo ha sempre respinto anche nella gara prediletta. L’altro di nome fa Kenenisa Bekele ed è il nuovo despota del cross: ha già conquistato i 10.000 raccogliendo lo scettro del suo maestro Haile Gebrselassie e non fa mistero di voler ripetersi sette giorni dopo anche sulla distanza inferiore, per arrivare laddove nemmeno il suo grande predecessore è mai approdato. CONTINENTE NERO Sulla pista dello stadio Saint Denis, il 31 agosto 2003, la finale dei 5.000 che chiude i Mondiali di Parigi sembra a tutti un affare esclusivo tra il veterano marocchino e l’etiope rampante, con i keniani Abraham Chebii, John Kibowen e Richard Limo, campione uscente, pronti eventualmente a inserirsi nel duello, a sfruttare un pur raro passo falso di quella coppia di fenomeni. Ormai non c’è da stupirsi: la gara che assegna le medaglie sui dodici giri e mezzo è una parata di atleti africani. L’Etiopia presenta anche Abyote Abate e lo junior Gebre-egziabher Gebremariam; il Marocco affianca a El Guerrouj il fido Abderrahim Goumri, dopo che l’ormai navigato Salah Hissou si è arenato in batteria; il Kenya schiera a sua volta un giovanissimo di cui si conosce poco, Eliud Kipchoge, fresco primatista mondiale under 20 della distanza e iridato nel cross; l’Eritrea, infine, mette in pista la novità Zersenay Tadesse. RESTO DEL MONDO Con questo schieramento - tutta gente che vale 13 minuti o poco più - cosa potrà mai fare anche stavolta il resto del mondo, in questa gara che ai corridori del Continente Nero non sfugge dall’87, ovvero l’anno in cui la geografia del mezzofondo e del fondo ha cambiato radicalmente colore? Infatti nulla potranno i cinque “intrusi” (lo svizzero Christian Belz, lo spagnolo Juan Carlos de la Ossa, il messicano Alejandro Suarez, l’arabo Moukhled Al-Outaibi e l’americano Jorge Torres), nemmeno pensare di acciuffare la medaglia meno nobile, a meno dell’ipotesi di una finale tattica, a ritmo da passeggiata: speranza peraltro improbabile, con quella sfilza di gazzelle là davanti. DUELLO Il duello ha una trama chiara e definita. Bekele sa che non può rischiare di portare El Guerrouj allo sprint, terreno certo più congeniale all’ uomo di Berkane, così decide di impostare una gara lestissima e si incarica lui stesso di dettare il ritmo, per cercare di sfiancare il rivale prima di trovarselo gomito a gomito sul rettilineo d’arrivo. Hicham, dal canto suo, confida nel contrario, perché è quasi digiuno della distanza: l’unico 5.000 dell’anno lo ha corso due mesi e mezzo prima a Ostrava, sconfitto dal siepista Stephen Cherono (o Saif Saaeed Shaheen che dir si voglia) ma con un confortante riscontro cronometrico (12’50”24), considerato che la sua precedente esperienza risaliva a 11 anni prima, quando ancora era junior. Pronti via, Bekele si mette subito in testa e si sciroppa i primi 1.000 metri in un rapidissimo 2’31”94. Il passo è elegante e possente, l’azione decisa, autoritaria, come è solito fare nelle gare di cross di cui è ormai il padrone assoluto: 2’35”33 il secondo chilometro, il terzo fila via in 2’38”17, per un passaggio di 7’45”44 che la dice lunga sulle intenzioni dell’etiope. Ma dietro nessuno cede, per lo meno quelli che contano. El Guerrouj è lì, Kibowen, Chebii, Limo e la rivelazione Kipchoge pure. Ed è proprio quest’ultimo a prendere in mano le operazioni quando la corsa entra nel quarto chilometro. ETÀ DUBBIA In pochi lo conoscono, anche se qualche cosuccia interessante l’ha già fatta, come correre in 12’52”61 al meeting di Oslo 34 giorni prima: e non è poco per un tipino che risulta nato - così dice il passaporto, poi bisogna ricordarsi che l’età di un keniano spesso è spannometrica - il 5 novembre 1984. In molti pensano che il suo ruolo sia quello di spianare la strada a uno degli altri tre keniani, ma in realtà Eliud sta pensando solo a se stesso. Finché si arriva all’ultimo giro e all’attacco di El Guerrouj. Hicham balza in testa al suono della campana e lancia la sua progressione, quasi sempre letale. Duecento metri filano via in 26”77. A mezzo giro dalla fine, Kipchoge lo segue a 4 metri, Bekele a 6, poi Kibowen, Chebii e Gebremariam: si potesse scommettere adesso, in pochi darebbero El Guerrouj perdente. E sul rettilineo è lui che si presenta in testa, pronto per volare verso la doppietta. Bekele, per la verità, sembra in grado di reagire, quindi non è detta l’ultima parola. IL TUFFO SUL TRAGUARDO Chi ha una marcia in più, però, è Kipchoge. Il ragazzino (o presunto tale) ha ancora benzina e la beve tutta per tramutare quelle ultime falcate nella sua apoteosi. Metro dopo metro rosicchia centimetri preziosi a El Guerrouj. Sul finire lo affianca, i gomiti quasi si toccano. Poi il tuffo sul traguardo, lo slancio di entrambi per mettere il petto davanti a quello dell’ altro. Sino al responso ufficiale del fotofinish: primo Eliud Kipchoge, 12’52” 79, secondo El Guerrouj, 12’52”83. Poi Bekele (12’53”12), Kibowen (12’54”07), Chebii (12’57”74), Gebremariam (12’58”08), a completare la finale più veloce della storia, con 6 atleti sotto i 13 minuti, cioè quelle che sino a poco tempo prima erano considerate le colonne d’Ercole dei 5.000 metri. MI MANDA SANG Quattro centesimi, un battito di ciglia, ma fanno la differenza. E se da un lato respingono il doppio assalto che avrebbe potuto catapultare El Guerrouj nella leggenda, dall’altro regalano la novità Kipchoge, il secondo più giovane campione mondiale della storia, il Carneade che salva il Kenya dall’onta delle zero medaglie d’oro. Eliud è un Nandi, viene dal villaggio di Kapsisiywa, nella regione di Kapsawet, ed è stato scoperto dall’ex siepista Patrick Sang, l’uomo delle medaglie d’argento (a Barcellona ’ 92 e in due finali mondiali). Si discuterà sulla sua età, perché il viso non è quello di un ragazzino che dichiara 18 anni e 298 giorni. E perché appare inverosimile - comunque non impossibile - che possa già avere un figlio di 5 anni. Ma sono dettagli, che al massimo inficiano l’albo del primato mondiale juniores e non scalfiscono quel trionfo per tutti inaspettato. Non sarà un fuoco di paglia. Il presunto ragazzino si farà applaudire anche nel 2004, con un crono da campione (12’46”53) e il bronzo olimpico ad Atene, stavolta lui a una manciata di centimetri da quei due, El Guerrouj e Bekele, beffati a Parigi. Poi sarà quarto nella finale mondiale di Helsinki 2005. Guai a dimenticarsi il suo nome per Osaka. Demadonna, il testimone: "El Guerrouj commise un errore tattico" «Ero abbastanza sicuro che quel giorno la vittoria andasse a El Guerrouj. In ogni caso mai avrei pensato che potesse spuntarla Kipchoge, al massimo avrei detto Bekele». Anche Gianni Demadonna, da oltre vent’anni manager di alcuni dei più forti corridori del mondo, fra cui un folto gruppo di keniani, fu sorpreso dall’epilogo dei 5.000 di Parigi. «È vero che El Guerrouj non aveva una grande esperienza sulla distanza - spiega -, ma ritenevo che, grazie alla sua velocità di base, potesse aver ragione degli avversari senza eccessivi problemi. Questa mia opinione era suffragata anche dall’esito dei 1.500, che Hicham aveva dominato quasi scherzando con Mehdi Baala. A giugno, a Ostrava, aveva perso da Cherono ma i Mondiali erano ancora lontani e quello era il primo vero 5.000 della sua carriera». Cosa determinò allora la sconfitta del campione marocchino nella finale iridata? «El Guerrouj commise a mio avviso un errore, cioè si lanciò in progressione già prima della campana dell’ultimo giro, impostando una lunga volata come era solito fare nei 1.500. Ma i 5.000 non sono i 1.500 e quel tipo di tattica non andò a buon fine dopo una gara corsa su ritmi velocissimi come fu quella straordinaria finale. Doveva aspettare ancora un po’, invece ebbe fretta. Trovò comunque un Kipchoge in giornata di grazia. No, non ho mai creduto che Eliud fosse ancora junior, ma l’età dei keniani sappiamo tutti che va presa con le pinze. Adesso sono curioso di vedere se tornerà in prima fila, perché nel 2006 ha avuto un po’ di problemi di salute e non si è visto agli stessi livelli dei tre anni precedenti».