Molly Seidel, maratoneta di fama mondiale e medaglia olimpica, ricorda chiaramente un episodio della sua adolescenza. All’epoca era una studentessa del Wisconsin che cercava di superare il corso di algebra grazie all’insegnante che le permetteva di camminare durante le lezioni. "Sapeva che il mio cervello funziona meglio quando mi muovo", racconta Seidel, oggi atleta professionista sponsorizzata da Puma. Né la sua insegnante, né lei stessa, né i suoi allenatori sospettavano che dietro a quel bisogno di muoversi si celasse qualcosa di più profondo: il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD). La diagnosi è arrivata solo nel 2022, dopo anni di successi sportivi, inclusa la conquista della storica medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Tokyo del 2020.
L’ADHD, solitamente associato a iperattività, disattenzione e comportamenti impulsivi, non ha mai rallentato Seidel nella corsa. Al contrario, potrebbe averla aiutata a eccellere. "Se mi avessero diagnosticato l'ADHD da bambina e mi avessero dato dei farmaci subito, non credo che sarei diventata un’atleta olimpica," afferma. Per lei, lo sport è stato una sorta di medicina naturale che l’ha aiutata a canalizzare l'energia in modo produttivo. Quando ha iniziato a correre, ha subito capito: "È qualcosa che fa funzionare il mio cervello in un modo che non avrei mai pensato possibile".
Queste dichiarazioni hanno aperto un dibattito sempre più ampio sugli effetti dell’ADHD negli atleti. Il complesso disturbo potrebbe fornire alcuni vantaggi, soprattutto in contesti competitivi. Mimi Winsberg, psichiatra di San Francisco, sottolinea che le persone con ADHD sono spesso in grado di iperfocalizzarsi su un obiettivo, sfruttando al massimo le loro energie. "Non è tanto un deficit di attenzione quanto una selettività nell’attenzione", spiega.
Esempi di successo di atleti con diagnosi di ADHD
Seidel non è l'unica atleta di alto livello ad aver scoperto di convivere con l'ADHD. Campioni come Michael Phelps e Simone Biles hanno parlato apertamente del loro disturbo, dimostrando come l'ADHD possa non essere un ostacolo ma, in alcuni casi, un vantaggio. In effetti, una ricerca condotta tra atleti universitari ed élite ha rilevato che l'ADHD potrebbe essere presente in circa l'8% di loro, una percentuale notevolmente superiore rispetto al 2,5% della popolazione generale.
Un altro esempio è Michelle Carter, medaglia d'oro olimpica nel lancio del peso, a cui è stato diagnosticato l’ADHD da bambina. Carter non ha mai fatto uso di farmaci, ma ha comunque raggiunto risultati incredibili nel suo sport. “L’ADHD è una parte di me che mi rende creativa e unica - racconta -. Non cambierei nulla perché aggiunge quel tocco speciale alla mia vita".
Sfide e opportunità per atleti iperattivi
Nonostante i vantaggi che l’ADHD può offrire a livello atletico, vi sono anche sfide significative da affrontare. L'iperattività e l’iperfocalizzazione possono, se non ben gestite, portare a infortuni o burnout. Inoltre, molte atlete come Seidel si trovano ad affrontare altri disturbi concomitanti, come il disturbo ossessivo-compulsivo o problemi legati all’alimentazione. La gestione dell’ADHD, quindi, richiede il mantenimento costante di un delicato equilibrio tra lo sfruttamento dei punti di forza e il controllo degli aspetti più problematici.
Alcune atlete, come Allysa Seely, medaglia d'oro paralimpica, hanno scoperto di avere l'ADHD solo in età adulta. "A scuola facevo cinque cose contemporaneamente - ha detto Seely -, ma siccome prendevo buoni voti, nessuno si accorgeva che avessi qualcosa". Dopo la diagnosi, Seely ha capito che molti dei suoi comportamenti, come il bisogno costante di muoversi, erano sintomi dell’ADHD.
L'importanza della diagnosi e della gestione del disturbo ADHD
Per molti atleti, ricevere una diagnosi accurata di ADHD è stato un punto di svolta. "Quando la diagnosi è corretta, la loro vita cambia", afferma la dottoressa Dusty Marie Narducci, esperta in medicina sportiva. Sebbene i farmaci stimolanti siano utili per migliorare la capacità di attenzione, molti atleti preferiscono evitare di utilizzarli, temendo che possano influire negativamente sulle loro performance.
Seidel, per esempio, ha deciso di smettere di prendere farmaci, nonostante avesse ottenuto una prescrizione terapeutica, poiché riteneva che riducessero la sua capacità di concentrarsi durante le gare. "È come se mi togliessero qualcosa che mi permette di entrare in quell’atmosfera di cui ho bisogno per correre a livello mondiale", ha concluso.
Oltre ai farmaci, molte atlete stanno sperimentando terapie alternative, come il mindfulness, la meditazione e il neurofeedback. Seidel stessa si concede lunghi momenti di riposo quotidiano per calmare la mente e favorire una maggiore concentrazione. "Può essere molto difficile - ammette Seidel a proposito della gestione dell’ADHD -, ma è anche quello che mi rende chi sono".
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