Negli ultimi anni siamo abituati a considerare le grandi maratone non soltanto come uno spettacolo con i più importanti campioni dell’atletica che si misurano su una delle distanze più iconiche e a tratti “eroiche”, ma anche come la vetrina privilegiata per la presentazione di scarpe da corsa con tecnologie a volte avveniristiche, altre volte curiose.
L’avvento delle scarpe con piastra in fibra di carbonio ha trasformato questo sport in una fucina di nuove soluzioni tecnologiche davvero sorprendenti. Ma, nonostante questo, capita sempre più spesso che gli atleti da podio si affidino a vecchie scarpe (quasi sempre con piastra), ma comunque con tecnologie che almeno sulla carta sono un po’ datate. È accaduto anche a Berlino, in quella che è considerata la maratona più veloce del mondo (anche se il record in questo momento appartiene a Chicago con il 2h00:35 fatto registrare dal compianto Kelvin Kiptum giusto un anno fa).
A Berlino, domenica 29 settembre, l'etiope Milkesa Mengesha, primo in 2h03:17, ha portato alla vittoria un paio di scarpe da corsa Nike Vaporfly Next% 2, modello del 2021, superato sia da un aggiornamento di un anno fa e dai nuovi modelli Alphafly che secondo alcuni garantiscono maggiori performance. Milkesa ha deciso di mettere ai piedi una scarpa “vecchia”. Certamente con pochi chilometri, ma già abbondantemente fuori produzione, tanto che per acquistarla si deve andare su qualche sito di stockisti.
Non bastasse, sul podio femminile, buona terza con un tempo di 2:19, è salita l'etiope Bosena Mulatie che ha corso con la versione delle Nike Vaporfly del 2019, quasi un modello da museo che ci riporta indietro ai tempi migliori di Eliud Kipchoge, quando Nike era sostanzialmente monopolista sui campi di gara della maratona. Non temete, l’ultima Aphafly di Nike è sul podio con il terzo posto di Haymanot Alew, mentre la Asics Metaspid Sky Paris erano ai piedi dell’atleta Mestawot Fikir, seconda nella gara femminile.
Le nuove super scarpe da maratona sono davvero più lente?
Che succede? Forse le nuove scarpe sono meno performanti di quelle di qualche anno fa? Non proprio… la questione vera è che in una gara così lunga e difficile, ogni dettaglio è di fondamentale importanza per la performance, e molti atleti preferiscono spesso utilizzare scarpe che già conoscono e che son in grado di garantire una sorta di “comfort zone”.
Semmai un podio così variegato ci dice due cose: tutti i brand sono in grado di produrre modelli molto performanti, e l’evoluzione tecnologica delle super scarpe sta progressivamente trovando un punto di equilibrio. A volte le ultime novità arrivano ai piedi degli atleti troppo a ridosso delle gare; è il caso delle nuove Adidas Adizero Adios Pro 4, rese disponibili da adidas poche settimane prima della gara e comunque scelte dal keniano Cybrian Kotut, giunto secondo a soli 5” dal vincitore.
Il fatto è che spesso gli atleti prediligono scarpe che hanno già utilizzato in competizioni precedenti o che sono state testate durante lunghi allenamenti, il che garantisce una certa familiarità. Gli atleti sanno esattamente come risponde la scarpa, sia in termini di comfort che di prestazioni. Le nuove versioni, pur presentando tecnologie migliorate, potrebbero avere modifiche che cambiano la sensazione al piede o l'adattamento alla corsa, introducendo un fattore di incertezza.
Super scarpe, tempi di adattamento molto lunghi
Non è un mistero che le nuove scarpe, soprattutto quelle con piastre in carbonio, richiedono tempo per essere adattate all’andatura dell’atleta. Si pensi ai modelli più nuovi che puntano su rocker (arrotondamento del puntale) molto accentuato. Se è vero che questa tecnologia promette una corsa più fluida e una rullata più veloce, è anche vero che impone un cambio dello stile di corsa che a volte può implicare mesi per poter sfruttare al massimo la tecnologia.
Inoltre, nonostante i miglioramenti tecnologici, non tutti gli aggiornamenti delle scarpe sono percepiti positivamente dagli atleti. Le versioni precedenti possono avere una rigidità, un drop, o una distribuzione del peso più adatta allo stile di corsa personale di un atleta rispetto ai modelli più recenti. La stessa maratoneta americana Emily Sisson, che ha partecipato allo sviluppo della super scarpa di New Balance, spesso corre con modelli senza piastra con i quali si sente più a suo agio.
Gli stessi materiali che compongono le intersuole delle super scarpe sono molto complessi e di difficile gestione. Schiume morbide, molto spesse che sono in grado di offrire maggiore reattività quanto più vengono compresse. Immaginate cosa significhi fare tutto questo quando si corre per 42K. I piedi reagiscono in modo diverso nelle varie fasi di gara e alcune schiume possono essere percepiti come più stabili o adatti per una certa tipologia di corsa rispetto alle nuove versioni, che magari introducono modifiche troppo avanzate.