Dunque, tu vuoi sapere chi fosse Pietro Mennea. Basterebbero i risultati, i record, le vittorie, costruite centimetro dopo centimetro, anni di dedizione alla corsa, soltanto alla corsa. Ma questa sarebbe la superficie. Non sentiresti schioccare la scintilla che ha fatto e fa risplendere il nome di Mennea, uno che quando raccontava il suo rapporto con la fatica sembrava incendiare l’orizzonte con gli occhi.

Uno studente pugliese a Città del Messico

E allora bisogna cercare dietro la velocità che ha portato l’azzurro al record del mondo dei 200 metri, anno 1979, 19’’ 72, Città del Messico. Un primato che durerà 17 anni. Lì ha raccolto anche il record europeo sui 100 metri, crono palindromo: 10’’01. Lui nel frattempo studiava Scienze Politiche: glielo aveva suggerito un altro pugliese, Aldo Moro.

Allora quella velocità lì, mai vista prima, magari va ricercata nella voglia di correre più rapido di una quotidianità serena, ma lontana da quella ricerca della felicità che iniziava a farsi strada da bambino.

Perciò, via, valigia e cuccetta del treno, cuore dentro alle scarpe e cercare di lasciare il vento in scia.

Da Formia si vede il mondo intero

Il primo salto da Barletta a Formia, al Coni, la gloria olimpica che reclama sacrifici e sogni, sogni e sacrifici. Altra via non c’è per far sbocciare ali dalle radici e costruire giorno dopo giorno in silenzio il dominio tra le corsie.

Arrivano le prime competizioni e i risultati. Il Vele dello Sport a Termoli ad esempio. Ma è già tempo di andare oltre confine. È sempre una questione di tempo. Di tempo e di fame. Allora il treno che dal Sud porta alla Capitale diventa un aereo da Fiumicino al resto del mondo.

La tuta della nazionale aderente al corpo cresciuto, ancora più leggero, ancora più potente. Ci sono le vittorie e i riflettori che si accendono e si intravede il mondo dall’alto. Però bisogna attendere la linea del telefono per poter raccontare tutto a casa. Le emozioni, il cuore che unisce in un battito caviglie e polsi. C’è da tremare quando stai diventando il primo, il più veloce di tutti, soprattutto alle Olimpiadi.


Mennea... e finalmente Mosca, 1980. Due centesimi

L’avversario da battere è il campione uscente Don Quarrie, Jamaica. 4 anni prima, a Montréal. Mennea alle Olimpiadi del 1976 non doveva nemmeno esserci e finì mesto ai piedi del podio. Non importa, o si vince o si impara. A Mosca c’è anche Allan Wells, campione dei 100 metri, è in settima corsia e parte fortissimo. Senza chiedere permesso, supera Mennea, che esce come al solito lento dai blocchi. Il velocista britannico brama la vittoria sotto al cielo di Mosca. Ma Mennea conosce già il futuro, proprio e quello dell’atletica. Sa aspettare, ha pazienza, con tutto lo sforzo di immaginazione che ci vuole per avere pazienza a queste velocità supersoniche. Due centesimi. Quelli che l’azzurro in rimonta mette tra il proprio oro e i sogni sfumati di Wells.

Questo lo raccontano gli almanacchi. E l’anno dopo, Mennea annuncia il ritiro. Ha bisogno di tempo. Per studiare. Tornerà poi in pista, è stato ed è l'unico duecentista ad aver sentito lo sparo di quattro finali olimpiche consecutive: dal 1972 al 1984. A Los Angeles, dopo la gara e in un momento di debolezza, inciampa in qualcosa che non gli piace. Certo, all’epoca non proibito dai regolamenti, ma la coscienza personale non accetta alibi. “Ho capito che nella mia vita stavo cercando tutto tranne che quello”, dirà anni dopo. A Mosca, all’apice del dominio tra le corsie, Mennea aveva già capito che la sua astronave era già andata oltre.

Le lauree in scienze politiche, giurisprudenza, scienze motorie e sportive e lettere. Avvocato, commercialista, docente universitario, dirigente e manager sportivo. Politico. Marito di Manuela Olivieri, avvocata e giornalista.

Però qualcosa sfugge ancora tra le righe dei ricordi. Dunque, tu vuoi sapere chi fosse Pietro Mennea. Allora bisogna andare più leggeri, con le caviglie svincolate dal terreno, sfiorare appena la pista. Mennea è diventato un’icona pop anche per la frase: “La fatica non è mai sprecata. Soffri, ma sogni”. L’importante è farsi trovare pronti a competere.

Ecco, forse è questo allora.

Pietro Mennea, la fatica

La fatica che, anche se non si tramuta in medaglia, ti spinge a sognare, a desiderare, a immaginarti lassù sul gradino più alto, che hai capito di avere tutto il diritto di sognare, non importa davvero il punto di partenza. Ecco la potenza che esplode nei sogni dei bambini. Cosa vuoi fare da grande? Voglio essere l’uomo più veloce del mondo e voglio fare in modo che accada.

Per tutta la vita Mennea ha tenuto viva questa convinzione. Poi la malattia, che lo ha raggiunto e battuto in volata. Veloce, come lui, e come lui precoce, troppo, a 59 anni, dieci primavere fa.

È destino degli immortali cambiare in fretta forma.

Pietro Mennea, la Freccia del Sud, Barletta 28 giugno 1952 – Roma 21 marzo 2013

Vuoi sapere chi fosse Pietro Mennea? Forse era qualcuno che, quando guardava in faccia la fatica, non vedeva confini da attraversare, ma un orizzonte nuovo da incendiare.