A che età un’atleta può essere definita ancora “giovane promessa”? Sfido chiunque a spingersi fino a 26 anni! Eppure, per Sintayehu Vissa i primi grandi risultati sono arrivati così tardi, quando per molti atleti di buon livello è già tempo di pensare al “dopo”. Non per lei, nata con quel gene speciale di chi non si rassegna mai.
Impossibile arrendersi per chi è cresciuta in un orfanotrofio di Addis Abeba in Etiopia, arrivata in Italia a 9 anni grazie all’amore di papà Giuseppe, mamma Anita Bertolini e le sorelle Chiara e Arianna, che l’hanno fortemente voluta nella loro vita a Pozzecco di Bertiolo, in provincia di Udine.
Sintaiu (così si pronuncia) era nata a Bahir Dar il 29 luglio 1996 e l’atletica non sembrava essere nel suo destino. Sono stati i genitori di Yeman Crippa ad aiutare i suoi nel percorso di adozione. Forse qualcosa nell’aria già c’era…
Un paio d’anni dopo l’arrivo in Italia, ecco l’incontro con l’atletica leggera, a Codroipo. L’ambiente è stimolante e Sinta (così la chiamano tutti) si rivela una buona atleta. Una crescita regolare sotto la guida di Cornelio Giavedoni la porta a ben figurare nei 400 (56”43) e negli 800 (2’08”8). Dopo tanti campionati giovanili, il miglior piazzamento è un 4° posto agli Italiani under 23 di Firenze del 2017. Come dire, bene, ma non benissimo.
Serve un deciso cambio di vita per svoltare. Parte come ragazza alla pari per l’Irlanda per migliorare l’inglese: l’obiettivo è entrare in un college americano. Si rompe un crociato, ma torna a gareggiare nel 2019 e finalmente, l’anno dopo, ecco la chiamata dell’Università di Saint Leo, in Florida. A 24 anni. Un anno di assestamento, la buriana del Covid, ma arriva il trasferimento all’Università di Oxford in Mississippi (Ole Miss). Qui, sotto la guida di Ryan Vanhoy, Sinta Vissa inizia a volare, allunga le distanze e nel 2022, quando ha già 26 anni, arriva seconda nella finale NCAA indoor del miglio. A giugno poi vince la gara più importante, la finale NCAA dei 1.500 (4’09”42). È la prima volta per una italiana, è l’inizio di una nuova vita.
Sulla stessa pista di Eugene torna un mese dopo per la sua prima maglia azzurra: sono le batterie dei 1.500 dei Campionati Mondiali. Da zero al top. Ma non è finita. Neanche il tempo di festeggiare il titolo NCAA ed ecco il contratto per diventare professionista negli Stati Uniti.
Dal Mississippi si trasferisce a Boulder, in Colorado, per allenarsi con l’On Athletic Club sotto la guida di Dathan Rizenhein, ex primatista americano dei 5.000 (12’56”27 nel 2009). La nuova vita sembra quella giusta per riuscire a entrare nella storia.
E nella storia Sinta Vissa ci è già entrata. Sabato 28 gennaio 2023 a New York, sulla distanza del miglio indoor, Vissa ha superato una leggenda come Gabriella Dorio. Il suo 4’28”71 ha cancellato il 4’28”90 corso nel 1982 dalla campionessa olimpica di Los Angeles. Non finisce qui. L’11 febbraio demolisce il suo fresco primato nei Millrose Games di New York con 4’24”54, e il 4 marzo è nona nella finale dei 1.500 degli Europei Indoor di Istanbul. C’è una nuova stella nel cielo azzurro.
L'intervista
Ciao Sinta, hai visto che anche Gabriella Dorio su Facebook si è complimentata per il tuo record?
"Sì ho visto, non sapevo cosa rispondere e ho messo solo un cuore".
Con questo record italiano inizia la tua quinta vita: Etiopia, Italia, Usa, professionismo. Partiamo dall’inizio: cosa ricordi del tuo arrivo in Italia?
"Non ricordo molto dei miei primi anni, ma grazie ai miei genitori sono solo momenti belli. Ricordo l’arrivo all’aeroporto, con tante persone che dicevano il mio nome ma io non capivo niente. In orfanotrofio avevo imparato solo i numeri, il verbo essere e “Giro, giro tondo”. Era strano vedere così tante persone di colore più chiaro. Ho sempre sentito di essere accettata nonostante le difficoltà all’inizio".
Tanto amore per la tua Italia, ma hai fortemente voluto andare negli Stati Uniti. Come mai?
"Io volevo andare via per essere allenata da qualcuno. Sono una persona indipendente ma anche concreta, non volevo pesare sui miei. Allora perché non andare in un college, con una borsa di studio per correre e studiare? È stato difficile ma ne valeva la pena, piuttosto che restare a Codroipo e magari non riuscire mai a correre gli 800 sotto i 2 e 10. Sentivo sotto sotto che c’era il talento, ma non era spremuto abbastanza".
Poi finalmente riesci a entrare in un college, a Saint Leo, in seconda divisione.
"È stato un modo per entrare nel sistema americano. Ho cambiato allenamenti, sono passata da 25 a 80 chilometri alla settimana, e mi è servito per quando sono entrata a Ole Miss. Mi sono proposta io, autocandidatura con pochi risultati anche per colpa del Covid. È stato un rischio, però sono qua e posso raccontarlo e riderci sopra".
Il 2022 è stata la tua miglior stagione di sempre, con la vittoria NCAA nei 1.500 e la partecipazione ai Campionati Mondiali di Eugene. Ci credevi, sognavi qualcosa del genere?
"Io lo sognavo, ma il mio allenatore Ryan Vanhoy ci credeva più di me. Io sono molto realistica, non pensavo di partecipare a un Mondiale, di correre i 1.500 in 4 e 4, ma lui sì: “Fidati, fidati, trust the process” mi diceva. Il secondo posto indoor mi ha lasciato tanta rabbia e la grinta per la stagione all’aperto".
Com’è stato il debutto in Nazionale direttamente ai Mondiali?
"Tante emozioni, per fortuna c’erano amiche come Ayo Folorunso, Zaynab Dosso o Daisy Osakue. Altri mi dicevano “Ah, ma tu sei l’americana” oppure “Ma fai atletica da poco?”. Ma è stato bello bello, sì. Quando torno a correre in Italia c’è sempre più pressione".
Cosa significa essere professionisti negli Stati Uniti?
"Mi sono affidata a un agente irlandese molto attivo negli Usa, Ray Flynn. Le squadre sono sostenute dai brand sportivi, io faccio parte del gruppo On Athletics Club. Parliamo di un contratto annuale di 60mila dollari con bonus per tempi, campionati o record nazionali. Siamo un gruppo di 14 persone. Io vivo con altri 4 atleti e ci alleniamo a Boulder, in Colorado, che è come stare a Saint Moritz, a 1.700 metri. Usiamo anche una pista indoor, qui fa freddo, anche 17 sottozero. Io credo moltissimo in questo gruppo di lavoro, non solo nel coach Dathan Rizenhein. Con me ci sono lo spagnolo Mario Garcia Romo (bronzo agli Europei nei 1.500), l’americano Yared Nuguse (record americano 3.000 indoor 7’28”24), il neozelandese George Beamish (13’19” sui 5mila) e lo svizzero Jonas Raess (13’07” sui 5mila)".
Con la forza di questa squadra fino a dove vuoi arrivare?
"Ovviamente i Giochi di Parigi sono l’obiettivo che sprona tutto, ma prima bisogna confermarsi ai Mondiali di Budapest. Però Parigi sarebbe… Parigi".