Il nuovo Consiglio senza opposizione, gli obiettivi centrati e quelli da raggiungere, la situazione delle maratone italiane, la crescita del running tra motivi di soddisfazione e aspetti da cambiare, a partire dalla gestione delle Runcard che rischia di incrinare il rapporto tra le società tradizionali e la Fidal. In questa intervista a “Runner’s World” il presidente federale Stefano Mei analizza il presente e il futuro del nostro sport.
Stefano Mei risponde alle domande di RW
Presidente Mei, i dati delle principali maratone italiane – tutte in crescita – ci dicono che siamo di fronte a un nuovo boom della corsa. Da ex atleta di vertice e da leader confermato della Federazione, come la vede?
"Un paio di anni fa si era parlato di crisi, ma io ero tranquillo. Il Covid aveva portato due anni di terrore. Poi è finito, ma è chiaro che se per due anni dici a tutti che ammassarsi è pericoloso, la gente non si riabitua subito a vivere come prima. Ci voleva soltanto un po’ di tempo".
Tutte le nostre maratone dichiarano un notevole aumento degli iscritti provenienti dall’estero. Però lo straniero che non è tesserato per una Federazione viene lasciato fuori classifica. Succede solo in Italia, e qualche runner ha cominciato a protestare: “Io viaggio, spendo, gareggio e voi mi trattate da runner di serie B”. Si può fare qualcosa?
"Nel 2021, alla Camera, la mozione Lupi ha introdotto la figura del “runner-turista”, ammesso a partecipare senza l’obbligo del certificato medico imposto dalla legge italiana. Noi ci siamo incontrati negli uffici di Maurizio Lupi e insieme abbiamo formulato il testo di una nuova mozione che tenga conto degli sviluppi che ci sono stati in questi quattro anni, soprattutto della crescente richiesta di gareggiare che arriva da ogni parte del mondo. È anche una questione economica: perché se riconosci che la corsa serve alla promozione sportiva e al mantenimento dei corretti stili di vita, non si capisce perché devi limitare chi con la corsa fa anche business".
Qualche organizzatore vede nell’obbligo del certificato medico un limite alla crescita delle prove italiane: per correre a New York non serve, per correre a Roma sì…
"Lo sport fa bene, ma ci sono situazioni in cui è bene prestare attenzione. Il nostro è un sistema quasi unico nel mondo, ma non lo definirei oppressivo. Direi piuttosto che è un sistema giustamente attento. L’autocertificazione è un modo per non complicare la vita agli stranieri che vogliono correre nelle nostre città. Ma per gli italiani il certificato è una garanzia da cui non si può prescindere, anche per chi non appartiene a una società e corre con la Runcard".
Proprio la Runcard sta diventando un motivo di contrasto tra le società tradizionali e la Fidal. I club si sentono penalizzati. Hanno torto?
"La Runcard era un tentativo di intercettare una parte dell’enorme numero di runner che iniziano a correre e che prima o poi vogliono provare una gara. Una buona idea, ma secondo me realizzata in modo sbagliato. Non a caso stiamo per introdurre qualche novità. Abbiamo visto che la norma che limitava a un anno la possibilità di correre senza iscriversi a una società viene spesso disattesa. E d’altra parte comprendiamo le ragioni di chi, per motivi diversi, non ha intenzione di entrare a far parte di un club. Quindi interverremo sui costi della tessera, che aumenteranno progressivamente a partire dal secondo anno di iscrizione. Inoltre le società che tessereranno un'ex Runcard avranno delle agevolazioni, mentre chi vuole uscire da un club per correre da indipendente dovrà pagare qualcosa in più".
Crescono le maratone, ma non il numero dei maratoneti italiani. A Londra, delle 800 mila richieste d’iscrizione per l’edizione 2025, quasi 400 mila arrivano dalla Gran Bretagna. In Italia sono più o meno 50 mila. Cosa ci manca per raggiungere gli inglesi?
"È un discorso lungo che parte da lontano. Dalla scuola, negli Stati Uniti o in Gran Bretagna lo sport è parte integrante della formazione fin da bambini. Si impara a fare sport, a sfidarsi, a mettersi in gioco. Ma non è solo una questione filosofica, è anche una faccenda di soldi: da noi i tempi in cui il ministero dell’Istruzione trovava le risorse per i professori che volevano portare le loro classi sui campi d’atletica sono finiti. Senza scuola è difficile: il governo dovrebbe mettere le nostre società di base in condizione di avere impianti, di avere gli spogliatoi, di avere l'acqua calda, perché le società del territorio sostituiscono le istituzioni nel sociale. Qui tutti dicono che lo sport è bene e poi non ci mette niente nessuno. Eppure la voglia di sport c’è. Gli italiani che corrono sono 5 milioni: non possiamo tesserarli tutti, né trasformarli tutti in maratoneti, ma sono una realtà di cui tener conto".
Gli Europei di Cross e i record dei maratoneti hanno dimostrato che l’onda lunga dell’atletica azzurra non si è ancora fermata. Possiamo essere ottimisti?
"L'onda lunga non si è fermata e non si fermerà. Lo sport è come tutte le cose della vita: quando investi, hai un ritorno. Dicono che sono fortunato. Può darsi, ma la fortuna la devi aiutare. Quando sono arrivato, nel 2021, il bilancio preventivo - stilato dal mio predecessore - alla voce “preparazione olimpica” prevedeva 4 milioni e mezzo. Ne abbiamo aggiunti altri due per far sì che gli atleti arrivassero alle Olimpiadi nelle migliori condizioni possibili. Dicono che i talenti che hanno vinto le medaglie c’erano anche prima. È vero: non ho mai detto di averli inventati io, ma noi li abbiamo messi nelle condizioni di rendere al massimo".
Rispetto agli scorsi quattro anni il Consiglio Nazionale sarà tutto dalla sua parte, senza opposizione. Un bel vantaggio, ma non crede che l’opposizione sia funzionale al buon lavoro di ogni governo?
"Dico solo che la mia è la stessa situazione che aveva il presidente Giomi dopo le elezioni del 2012. Mi fanno sorridere quelli che allora festeggiavano e adesso dicono che non c’è democrazia. Le regole sono queste, sono perfettibili: ma non è che quando tocca a me è una fregatura e quando tocca a te godi".
Il 7 gennaio la Fidal ha approvato il bilancio preventivo per il 2025. Da Sport e Salute sono arrivati meno fondi rispetto all’anno precedente. Questo cambierà qualcosa per l’atletica italiana?
"E poi si chiedono perché non sono contento... I ragazzi si impegnano, io mi impegno: il 2024 è stata la migliore stagione nella storia dell’atletica, con 24 medaglie agli europei, 3 podi e 17 finalisti alle Olimpiadi. Non saranno i trionfi di Tokyo, ma è sempre più della mezza medaglia che vincevamo prima. Poi cambiano i criteri per i finanziamenti e noi prendiamo di meno. Già è strano che le nuove regole le approvino dopo le Olimpiadi e non a inizio stagione, ma tant’è: vorrà dire che troveremo più risorse proprie. Quando sono arrivato, la quota di autofinanziamento era intorno ai 350 mila euro, le previsioni per il 2025 sono di un milione e 600 mila. Quello che è certo è che non torneremo indietro sulla scelta di implementare gli investimenti sull’attività tecnica".
C’è stata qualche polemica su alcuni atleti esclusi dai contributi federali. Ci saranno correttivi?
"Abbiamo alzato l’asticella. Ora bisogna aver vinto una medaglia agli Europei. Dirai: è tanta roba. Ma il mondo corre: noi siamo diventati una potenza mondiale, ma ci è costato molto in termini di lavoro e fatica. Credo che anche i ragazzi siano contenti di aver raggiunto una nuova dimensione: il dover dare di più è uno stimolo a crescer ancora. Non lasceremo indietro nessuno: qui non si parla di tagliare risorse, ma di ottimizzarle. Bisogna tener conto che l’atletica è cambiata, Quando Europei e Mondiali arrivavano ogni 4 anni. L’eco di una vittoria durava più a lungo, ora si gareggia ogni due anni. Il ricambio è continuo: confermarsi è difficilissimo. La concorrenza è pazzesca: non ci sono sport globali come l’atletica. Neppure il calcio: è vero che si gioca dappertutto, ma le nazioni che possono vincere sono pochissime. A Parigi, l’atletica ha mandato sul podio 37 Paesi. Qualcuno dice che il tennis è diventato uno sport globale. Ma dove? Mancano interi continenti: forse questo qualcuno confonde la sabbia del deserto con i campi da tennis… Senza contare che la stagione è diventata lunghissima: ormai si parte a gennaio e si finisce a dicembre".
Da quest’anno ci sono anche gli Europei di corsa su strada, a metà aprile in Belgio. L’Italia sarà protagonista anche lì?
"Certo. Queste manifestazioni servono ai ragazzi per crescere. E poi quando c’è occasione di vincere qualcosa non ci tiriamo indietro".